martedì 25 settembre 2018
Durante il primo conflitto mondiale, il coraggioso aviatore Ernesto Cabruna conquistò numerose vittorie ad alta quota
Un esemplare di Spad VII

Un esemplare di Spad VII

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il 26 settembre 1918: mancano poche settimane all’epilogo della Grande Guerra. Un caccia monoposto Ansaldo A.1 Balilla, un monomotore di fabbricazione interamente italiana, decolla dalla base di Marcon per risalire tutto il Piave, sorvolando gli altipiani con l’obiettivo di osservare e prendere nota delle postazioni austro-ungariche. A bordo dell’aereo c’è Ernesto Cabruna, da tutti conosciuto come «il carabiniere volante». È in quello specchio di cielo, in quella missione apparentemente di routine che uno degli assi dell’aviazione italiana rischia la vita: il velivolo si dirige su Brescia per atterrare nel campo di Castenedolo quando all’improvviso si rompe una tubazione della pompa dell’olio facendo schizzare il liquido bollente ovunque. Cabruna viene colpito al viso, perde il controllo dell’aeroplano. Poi lo schianto a terra. Nonostante il ricovero all’ospedale militare di Brescia con tanto di commozione cerebrale grave, frattura della clavicola destra e altre lesioni in più partì del corpo, il carabiniere ancora bendato, poco meno di un mese dopo, è ai comandi del suo aereo durante l’offensiva di Vittorio Veneto. Il 31 ottobre, infatti, in volo di crociera sulle difese austriache, si spinge fino al campo volo di Aiello, ormai in mano avversaria, e attacca una squadriglia di caccia pronti a rullare per il decollo: colpisce due aerei austro-ungarici che vanno a fuoco. È il 2 novembre 1918 e quella fu la sua ultima azione d’attacco. Per l’impresa compiuta in condizioni fisiche molto precarie e in zona di guerra in cui era difficile operare viene insignito della Croce di Guerra al Valor Militare. Al termine del conflitto a Cabruna venne concessa, in commutazione della seconda Medaglia d’Argento, la Medaglia d’Oro al Valor Militare.

«Ernesto Cabruna – spiega il colonnello Alessandro Della Nebbia, Capo ufficio Storico del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri – è il più noto dei ben 173 Carabinieri aviatori che nel corso del primo conflitto mondiale fecero parte del Corpo eeronautico militare dell’Esercito meritando 20 ricompense al valor mili-È tare. Come tutti i volontari impegnati nel nuovo servizio aereo, questi carabinieri continuavano ad appartenere a tutti gli effetti all’Arma di provenienza conservandone tutte le prerogative, a partire dall’uniforme – aggiunge Della Nebbia –. Erano uomini coraggiosi, che sfidavano la sorte in ogni volo, non soltanto contro il nemico. Un coraggio che Cabruna aveva già dimostrato offrendosi volontario nel 1911 durante la guerra italo-turca e di nuovo nel 1915, raggiungendo il fronte della Grande Guerra e meritando presto una prima medaglia di bronzo al valor militare per aver soccorso dei feriti civili sotto il fuoco dell’artiglieria austriaca».

Anche nel dopoguerra, sottolinea Della Nebbia, «un animo inquieto e generoso lo porterà a unirsi prima a D’Annunzio nell’impresa di Fiume, al prezzo doloroso delle dimissioni dal servizio – in quanto l’iniziativa dannunziana in quel momento era sconfessata dal Governo italiano – e a scontrarsi, più tardi, con il regime fascista, rinunciando a carriera ed onori». Così scriveva nel transitare nella nascente Aeronautica Militare nel 1923: «… mi propongo di essere, anche lontano, non dimentico figlio di quella Famiglia (l’Arma dei Carabinieri) cui ho appartenuto e alla quale ho coscienza di avere fatto onore». E così poteva scrivere di se stesso nel 1948: «Rimase Carabiniere, fiero del suo grado, della sua alta povertà e della sua indipendenza». Il carabiniere volante in tutta la sua carriera di aviatore portò a segno ben otto vittorie. Oltre agli encomi e alle medaglie conquistò, cento anni fa, la copertina a colori de La Domenica del Corriere numero 36 dell’8-15 settembre 1918, firmata dal disegnatore Achille Beltrami, con il titolo «Uno contro undici». L’episodio accade il 29 marzo 1918 quando Cabruna, una volta avvistati un bombardiere austriaco e dieci caccia di scorta che stavano per penetrare in territorio italiano, senza pensarci due volte si fionda in mezzo agli aerei austro-ungarici con l’intento di attaccare il velivolo del capo stormo, abbattendolo. Un’azione riportata sul modulo per la relazione del volo, come si legge dalle fonti custodite presso l’Archivio storico del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, con queste parole: «Affrontati, da solo, undici apparecchi nemici abbattutone uno, messi in fuga gli altri – Cielo dei Piave 29 marzo 1918». La prima pagina dedicata a Cabruna diede molta popolarità al militare delle fiamme argento nativo di Tortona. La sua carriera ha inizio il 18 ottobre 1907, a soli diciotto anni, quando supera la soglia della Legione Allievi Carabinieri di Roma e distinguendosi negli anni successivi durante le operazioni di soccorso alla popolazione di Messina a seguito del drammatico terremoto del 1908. Tutti fatti testimoniati nel foglio matricolare che racconta le sue temerarie imprese ai comandi prima del Nieuport 10 e poi dello Spad VII. A bordo di quest’ultimo velivolo Cabruna ottiene la prima vittoria il 26 ottobre 1917 nei pressi del Lago Doberdò ai danni di un idrovolante austriaco K212 mentre la seconda e la terza vittoria viene registrata a Salgareda il 5 dicembre dello stesso anno e nei cieli di San Donà di Piave il 12 marzo del 1918. Diciassette giorni dopo il colpo che gli fa conquistare la copertina de La Domenica del Corriere, a dimostrazione che il «cuore rosso» impresso sulla fusoliera del suo Spad VII, simbolo della gloriosa 77ª Squadriglia di stanza a Marcon, in provincia di Venezia, era del tutto meritato. A quel «cuore rosso» Cabruna abbinò lo stemma della sua città natale, Tortona, dettagli che si possono toccare con mano al Museo Storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle; l’altro esemplare di Spad VII restaurato con le insegne di Ernesto Cabruna, si trova invece presso la Scuola Ufficiali dei Carabinieri a Roma.

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