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Una immagine del documentario "Bright future" della regista romena Andra MacMasters - Courtesy Pordenone Docs Fest. Le voci del documentario
Fare i conti con la storia che ci ha sfiorato, per comprendere il presente. E’ quello che ha deciso di fare la regista Andra MacMaster, romena, che a 40 anni ha deciso di ricostruire l’atmosfera nella Romania di Ceausescu di quand’era bambina attraverso i filmati amatoriali. Produttrice e ricercatrice d’archivio, nel 2013 ha fondato Conset Film e come ricercatrice di antropologia visuale ha creato il primo archivio dedicato al movimento del cine-amateurismo nella Repubblica Socialista di Romania. E giovedì ha presentato il suo primo documentario Bright future in anteprima al “Pordenone Docs Fest. Le Voci del Documentario”, giunto alla sua diciottesima edizione che si conclude domani.
Bright future è un doc estremamente originale basato sugli incredibili filmati ritrovati, figli dell’amicizia Ceausescu – Kim Il Sung, che raccontano l’estate calda della Guerra Fredda: 1989, i giovani di tutto il mondo si ritrovano in Corea Del Nord a Pyongyang per il Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti. Il World Festival of Youth and Students venne organizzato a partire dal 1947 dalla World Federation of Democratic Youth (Wfdy) la International Union of Students. Nell’estate del 1989, 22mila persone provenienti da 177 nazioni (perlopiù da Paesi comunisti) si riunirono in Corea del Nord per un grande festival studentesco all’insegna della pace e dell’anti-imperialismo. Immerso nelle tensioni geopolitiche della Guerra Fredda, il festival divenne un’arena culturale in cui giovani si incontravano e si confrontavano. Allo stesso tempo, rappresentò una rara occasione per sperimentare culture diverse in un mondo diviso da confini e ideologie.
Il doc in 89 minuti ci apre uno spiraglio, sia sulla misteriosa ed inaccessibile realtà della Corea del Nord, sia sulle speranze di pace dei giovani dell’altra parte del blocco, nonostante la propaganda in cui erano immersi. Le immagini, girate tutte dal filmaker amatoriale Emilian Urse oggi 85enne, sono state girate fra il luglio 1989 e il marzo 1990. In particolare seguendo la delegazione di 150 romeni che dalla Romania immersa nella durezza del regime della dittatura, incontravano il mondo in una atmosfera di festa colorata e vivace, organizzata con il massimo splendore (che poi costerà caro al Paese) dal dittatore coreano. Un altro punto di vista sul mondo, estremamente interessante per noi occidentali, a poche settimane dalla caduta del muro di Berlino e dell’eclissi dell’intero sistema comunista guidato dall’Ursa. Eccezionali pure le immagini finali del doc, che documentano una Bucarest sotto la neve con la gente spaesata in quei giorni di fine dicembre che videro la caduta, la rocambolesca fuga e l’uccisione di Ceausescu e di sua moglie. Due bambini delle elementari raccontano il loro prossimo « Natale di gioia per la fine dell’oppressione». Ma, interrogati sul futuro che li aspetta, non sanno rispondere. Il futuro sarà davvero così “luminoso” come titola in modo ironico la regista?
«Quando nel 1989 cadde Ceausescu io avevo 5 anni – racconta ad Avvenire Andra MacMatsers -. Quello che io ricordo è la successiva rivoluzione del turbocapitalismo, la mia adolescenza negli anni 90 è stata travolta, in quel periodo di transizione, da un capitalismo sempre più selvaggio, fatto di massicce privatizzazioni. Su quello verterà il mio prossimo lavoro». Oggi è il momento di guardare alle speranze dei ragazzi di ieri. «Quindi mi sono molto interessata al comunismo, tutta la mia vita è stata vissuta nel paradigma anticomunista. Quando si parlava del passato tutto era brutto, orribile. Ma era davvero tutto così?» si domanda la regista. La quale non giustifica la figura e il durissimo regime di Ceausescu, «soprattutto l’estrema chiusura nazionalista del Paese che io non approvo e il culto della persona-lità, cosa che lo accomunava con il leader coreano di cui era molto amico» ci spiega, ma parte dalla propria esperienza familiare. «I miei genitori venivano dalla campagna, mio padre è stato il primo della sua famiglia a laurearsi all’università, ne era molto orgoglioso – spiega -. Hanno ricevuto un lavoro nelle ferrovie dove hanno lavorato per quarant’anni. Cosa impensabile nella Romania di oggi dove i giovani non trovano lavori stabili. Poi, alla caduta del regime, hanno chiuso le industrie e i miei sono rimasti senza lavoro. Però loro non hanno nostalgia di quel periodo sotto Ceausescu, forse sono più nostalgica io» sorride con una battuta la regista, che in realtà cerca di scavare nel passato per capire un presente difficile e sempre più sbilanciato verso l’ultradestra. La regista che vive a Bucarest, che ha studiato anche nelle università di Cagliari e Bologna, dice di essere stata ispirata dal nostro Paese, anche dal lavoro della Cineteca di Bologna, per creare il primo archivio rumeno dei filmini 16 mm che lei digitalizza e archivia.
«Io sono una pacifista e questo mio film è soprattutto sui giovani che parlano dei problemi del mondo e promuovono la pace – aggiunge -. Il Festival mondiale della gioventù nasce alla fine della guerra come un manifesto: nessun giovane deve tornare a morire in guerra. Quel festival, di cui si è persa memoria, era l’unica grande piattaforma di scambio fra la gioventù dei Paesi socialisti. Il mio film si confronta su come dobbiamo recuperare quei valori oggi, spingendo i giovani di oggi all’impegno». Sul finale di Bright future la regista racconta dove sono finiti i principali rappresentati del movimento studentesco comunista di allora, divenuti poi potenti della finanza, della politica e della cultura integrati nell’establishment della nuova Romania. «Oggi c’è un cambio di paradigma, in direzione pessimista – conclude la regista. –. Non potevo immaginare che il fascismo sarebbe diventato “mainstream”, supportato negli ultimi 30 anni dagli intellettuali romeni. Il mio lavoro vuole recuperare la memoria».