giovedì 10 aprile 2025
Tra i marmi, il mare e i miti: le storie italiane e francesi nel torneo più chic del mondo, che coniuga costume e sport. Derby azzurro a Musetti, che batte Berrettini e va ai quarti di finale
Il campo centrale del Country Club di Monte Carlo, che ha ospitato il derby azzurro tra Lorenzo Musetti e Matteo Berrettini

Il campo centrale del Country Club di Monte Carlo, che ha ospitato il derby azzurro tra Lorenzo Musetti e Matteo Berrettini - Ansa

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C’è un momento preciso, ad aprile, nel 2025 dal 6 a questa domenica, in cui il sole comincia a scaldare le rocce della Costa Azzurra, le terrazze si popolano di sguardi e occhiali scuri alla moda, e le onde si infrangono lievi sotto le tribune di uno dei luoghi più eleganti del tennis mondiale: il Monte-Carlo Country Club. Perché il Rolex Monte-Carlo Masters non è solo un torneo, è un’istantanea permanente della mondanità europea, del glamour, della cultura, un crocevia di storie tennistiche e non, dove Italia e Francia giocano partite che vanno ben oltre i campi rossi in terra battuta. Anche se poi quello che rimane ai tanti appassionati sono le epiche partite dei campioni, del passato e di oggi.

In epoca recente, sono stati soprattutto gli italiani a brillare nel Principato. Per esempio, questo martedì l’ormai ritrovato Matteo Berrettini ha “arato” per 2-6, 6-3, 7-5 il campione tedesco e numero due al mondo Alexander “Sascha” Zverev (garantendo a Sinner la posizione di numero uno al mondo fino al suo rientro), anche se poi a perso, per 6-3 6-3, nel derby per l'accesso ai quarti di finale contro un'altra stella del tennis italiano, il talentuosissimo e fortissimo Lorenzo Musetti. Fabio Fognini, con la sua aria da attore felliniano e le sue partite dai picchi visionari, nel 2019 ha scritto una delle più belle pagine azzurre del tennis moderno vincendo il titolo e battendo Rafa Nadal lungo il suo vittorioso cammino. C’era qualcosa di cinematografico in quel trionfo: l’insofferenza, il genio, il talento che si manifesta quando meno te lo aspetti. Ma è Jannik Sinner oggi a portare l’Italia dentro le stanze più nobili del club monegasco, frequentando quelle stesse terrazze dove un tempo si muovevano campioni come Bjorn Borg e John McEnroe, tra una partita e un aperitivo (che ancora oggi sono quelli classici, come Champagne Ruinart, Monte-Carlo Spritz e Gin tonic botanico con gin Cap Corse e cetriolo) con la principessa Grace Kelly e l’alta società europea. Sinner, altoatesino, porta una eleganza diversa: nordica, misurata, ma non meno affascinante per il pubblico francofono che da sempre sogna un nuovo Noah. Ora è fermo per squalifica e in passato, tranne una semifinale, non ha mai particolarmente brillato, ma è solo una questione di tempo per il suo primo titolo al Country Club. Tornerà più forte che mai al Foro Italico, agli Internazionali d’Italia a Roma, altro regno di bellezza ed eleganza.

Lorenzo Musetti in azione al torneo Masters 1000 di Monte Carlo

Lorenzo Musetti in azione al torneo Masters 1000 di Monte Carlo - Ansa

Dall’altra parte della rete, la Francia vive a Montecarlo una relazione affettiva più che patriottica. Perché, paradossalmente, il torneo che porta il nome del Principato non si gioca né in Francia né in Italia, ma a metà, su quella sottile linea di confine culturale che separa e unisce due Paesi da secoli. I francesi lo sentono loro, anche grazie alla loro scuola tennistica che ha come cardine di apprendimento il talento e la spontaneità, caratteristiche che vengono esaltate dai campi in terra rossa. E lo dimostrano i cori per Gaël Monfils, che gioca ancora e bene a 38 anni, che ha fatto ballare in passato le tribune come solo Maitre Gims, il performer french urban e pop, sa fare a Parigi o nel resto della Francia, o per Richard Gasquet, che ha detto basta con l’agonismo da poco, con il suo rovescio aristocratico. Più di tutti, però, resta nella memoria di oggi Jo-Wilfried Tsonga, capace di infiammare il pubblico come un gladiatore, senza mai conquistare però il trofeo. Come se Montecarlo fosse, per i francesi, un eterno desiderio non del tutto consumato. Così come è stato in passato per la generazione d’oro del tennis francese, quella di Yannick Noah, Henry Leconte e Guy Forget.

Ma Montecarlo è, prima di tutto, un luogo dove il tennis dialoga con altre forme di bellezza. La settimana del torneo è quella in cui le terrazze dell’Hôtel de Paris e i saloni dell’Hermitage si riempiono di volti noti. Non è raro incrociare attori come Vincent Cassel o Monica Bellucci, piloti di Formula 1 come Charles Leclerc o Fernando Alonso, o aristocratici venuti dal jet set milanese o parigino. Il torneo sembra una sfilata di profumi, dialetti e biografie da romanzo breve. La vicinanza con il Gran Premio di Formula 1 crea una sovrapposizione narrativa affascinante: due eventi che raccontano, ogni anno, la storia glamour del Principato. Nel paddock si parla delle stesse cose che si sussurrano nei corridoi del Country Club: fidanzamenti, passaggi di scuderia, fortune ereditate e amori sfuggiti. Il tennis e i motori, a Montecarlo, sembrano due espressioni diverse della stessa aristocrazia del gesto. E c’è qualcosa di curioso nel fatto che tanti tennisti vivano lì, come il nostro Sinner e non solo, come se respirare quell’aria, tra “giri di golf” e gli yacht, potesse portare fortuna anche nel circuito ATP. Montecarlo è da sempre anche un ponte tra l’Italia e la Francia, non solo un luogo dove c’è rivalità tra cugini, che quando collaborano, come nell’aerospazio, conseguono risultati davvero importanti a livello mondiale. Lo è nella lingua (spesso ibrida), nei cognomi, negli affari, ma soprattutto nella famiglia Grimaldi. Alberto II, principe con educazione americana e cuore latino, parla italiano e francese con la stessa naturalezza con cui accoglie le delegazioni di sponsor o di atleti. Sua madre, Grace Kelly, resta l’icona pop che più di ogni altra ha unito il cinema, il sogno e la monarchia in una sola immagine. Lo è nei piatti serviti nei ristoranti o in terrazza, come quelli considerati dei grandi classici: l’insalata niçoise gourmet con uova di quaglia, il risotto al limone di Mentone e gamberi rosa e il soufflé glacé al Grand Marnier.

Oggi è Charlène Wittstock Grimaldi, ex nuotatrice sudafricana, moglie di Alberto II, a muoversi tra i palchi del Country Club con un’eleganza che ricorda la vecchia Hollywood. Ma è anche attraverso Carolina e Stéphanie di Monaco che il Principato ha saputo parlare la lingua della modernità, tra arte, moda e ribellione, tra concerti rock e Biennali di Venezia. E non è un caso se la Croisette di Cannes e Via Montenapoleone a Milano sembrano avere a Montecarlo una loro sorella minore, più intima, più segreta. Condividendo trend che non passano mai di moda e che si vedono sulle tribune del Country Club, come il Panama Borsalino o le visiere di Chanel o Dior, il Foulard Hermès indossati come fascia o nodo al collo. Oppure gli orologi come il Rolex Daytona, il Cartier Santos e il Chopard Mille Miglia. Per molti un classico è il Blazer navy di Ralph Lauren o Paul Smith, portato indossando gli occhiali da sole Persol 714 alla Steve McQueen. C’è un momento, al tramonto, in cui il campo centrale si svuota, ma il cielo resta lì, color pesca, come un dipinto impressionista. I raccattapalle piegano le sedie, i camerieri preparano l’aperitivo, e qualche ex campione – spesso italiano o francese – si attarda in terrazza raccontando aneddoti. In quel preciso istante, capisci che Montecarlo non è solo un torneo. È una storia in movimento, dove italiani e francesi, come in una vecchia commedia sofisticata, recitano ruoli che sanno di casa, di memoria e di eternità e soprattutto di grande tennis e cuginanza.

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