
La partita tutta cattolica tra i Red Storm di St.Louis e i Bluejays di Creighton - Alamy
C’è un campionato di basket che fa impazzire l’America. Non la celebre e blasonata Nba, ma il seguitissimo torneo dei college della Ncaa. Ogni anno gli Stati Uniti si fermano per una competizione che contagia proprio tutti, non solo gli appassionati. Una rassegna che lancia le stelle del futuro i cui eroi non è detto però che diventeranno giocatori di pallacanestro, ma magari solo bravi medici, ingegneri o avvocati. È il fascino di questa competizione davvero “pazzesca”, come è stata ribattezzata la fase finale: March Madness (“follia di marzo”). La Ncaa può contare su un forte senso di appartenenza anche perché vi prendono parte più di 300 college che diventano 68 nella fase finale. Nonostante il crescente business, il torneo esprime ancora i valori più genuini di uno sport che non a caso è nato nel 1891 proprio in un ateneo, lo Springfield College in Massachusetts, grazie al vulcanico professor James Naismith. E anche quest’anno il basket universitario non ha tradito le attese regalando spettacolo e suspense pure nella finale. A spuntarla sono stati i Florida Gators che dopo una palpitante rimonta hanno vinto il terzo titolo della loro storia battendo gli Houston Cougars (65-63) all’ Alamodome di San Antonio davanti a 65mila spettatori.Ma a brillare ancora una volta, come da tradizione, sono stati gli atenei cattolici, ben otto quelli approdati alla fase finale: Saint Francis, Gonzaga, Marquette, Xavier, St. John’s, Saint Mary’s, Creighton e Mount St. Mary’s.

Zach Freemantle della Xavier University - Alamy
La storia della Ncaa ricorda come c’è stato un tempo in cui la pallacanestro era davvero una missione. Sin dal XIX secolo agostiniani, maristi, gesuiti, proposero questo sport nei loro college. E il basket si rivelò un formidabile strumento di evangelizzazione e integrazione per migliaia di immigrati provenienti dall’Europa ma anche per gli stessi afroamericani, in anni in cui erano ancora esclusi. Nel “gran ballo” (the big dance) di quest’anno la “Cenerentola” (Cinderella), così come viene chiamata la squadra rivelazione, è stata senz’altro la Saint Francis University, la più antica istituzione francescana di istruzione superiore negli Stati Uniti. La cavalcata dei Red Flash è stata memorabile perché dopo 34 anni sono riusciti a tornare alla fase finale. Un exploit incredibile considerando anche il budget molto ridotto di un ateneo di una piccola comunità di appena 1190 abitanti: Loretto, in Pennsylvania, è stata fondata nel 1799 da Demetrius Augustine Gallitzin (1770-1840), un sacerdote cattolico (oggi servo di Dio conosciuto come “l’apostolo degli Allegheny”). La città ha preso il nome proprio da Loreto e il suo celebre santuario nelle Marche. Il college fu fondato invece nel 1847 da una comunità di terziari francescani. Nell’epica partita che ha regalato ai Red Flash la qualificazione, il coach Rob Krimmel ha confidato a Cbs di aver fatto affidamento anche sulla fede. Qualunque sarebbe stato l’esito dell’incontro sulla sua lavagnetta aveva scritto «sia fatta la tua volontà». E sembra davvero piovuto dal cielo un successo epocale. Pazienza se l’università ha già annunciato che dall’anno prossimo rinuncerà per ragioni economiche alla massima divisione. Krimmel lascerà dopo 30 anni l’ateneo in cui è cresciuto e forse anche la carriera di allenatore ma ha voluto ringraziare tutti: «Saint Francis avrà sempre un posto speciale nel mio cuore - ha detto - Sono grato a tutte le persone che hanno sostenuto e influenzato il mio percorso come studente-atleta, allenatore, marito, padre e persona. Farò tesoro delle relazioni che sono state costruite dentro e fuori dal campo come risultato del mio periodo a Loretto». Dal canto suo l’ateneo ripartirà dalla III divisione ma vuole rimanere fedele alla propria missione che va oltre il basket: formare gli studenti affinché diventino quella persona che Dio li chiama a essere. «In un’epoca di complessità, la semplicità del messaggio di san Francesco d’Assisi ha più fascino che mai: Virtù. Verità. Compassione». Questi i principi che guidano da sempre questo college.

Il match tra Gonzaga Bulldogs e Saint Mary's Gaels - Alamy
Guardano oltre il parquet anche i Golden Eagles dell’ateneo gesuita di Marquette a Milwaukee. Il veterano della squadra Stevie Mitchell lo ha detto chiaramente: «Penso che la cosa più bella che puoi fare come giocatore di basket, o chiunque altro, è semplicemente rendere il mondo intorno a te un posto migliore». Una menzione particolare la meritano anche i Red Storm dell’ateneo cattolico newyorchese di St. John’s , fondato dai Padri vincenziani nel 1870. Erano 25 anni che non approdavano al tabellone finale, dai tempi del leggendario coach Lou Carnesecca, morto a 99 anni lo scorso 30 novembre. Un gigante della pallacanestro a stelle e strisce che all’anagrafe faceva Luigi perché figlio di emigrati italiani. Ha lasciato un segno indelebile nella Ncaa, fino a conquistare 526 vittorie in 24 stagioni. Considerò la St. John’s sempre la sua casa. Nel 1985, guidò gli allora Redmen (oggi Red Storm) alla Final Four della Ncaa perdendo contro la Georgetown University. Un uomo fiero della sua fede cattolica e della sua famiglia che oggi i suoi ex giocatori ricordano come ogni coach di valore vorrebbe essere ricordato: «Ci ha insegnato a essere non solo cestisti, ma uomini migliori».