mercoledì 16 aprile 2025
Per lo studioso della Mount St Mary’s University il ponte verso il cattolicesimo è più percorribile nel confucianesimo che nel taoismo: «San Tommaso ne avrebbe apprezzato la morale e un certo teismo»
Confucio

Confucio - WikiCommons

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«Balthasar alla luce del primo confucianesimo», «Tommaso d’Aquino e i primi maestri cinesi: filosofia cinese e teologia cattolica», sono titoli (usciti in lingua inglese) che fanno capire qual è l’inusuale pista di ricerca che sta battendo Joshua R. Brown, giovane docente di teologia alla Mount St. Mary’s University: il confronto tra la cultura religiosa cinese, confuciana in particolare, e il cattolicesimo, alla ricerca di punti di contatto e di passaggio fra l’una e l’altro. Il secondo titolo è stato da poco pubblicato dalla Catholic University of America Press, a pochi mesi di distanza da un lungo saggio che Brown ha pubblicato sull’edizione statunitense della celebre rivista di teologia Communio, una comparazione tra la visione della famiglia nel confucianesimo e nel cattolicesimo.

Il teologo Joshua Brown con la sua famiglia

Il teologo Joshua Brown con la sua famiglia - -

Professor Brown, da dove nasce il suo interesse teologico per la Cina?

«Quando ero protestante, durante i miei studi teologici per diventare pastore ho conosciuto la mia attuale moglie, che è malese ma di origini cinesi, i suoi nonni erano di Guangzhou. Mi ha introdotto alla lingua e alla cultura cinese in tutta la sua ricchezza, perché le comunità cinesi di Taiwan, Malesia e Singapore mantengono un carattere più tradizionale rispetto alla Cina continentale. Un paio d’anni dopo sono diventato cattolico e così ho scritto una tesi di dottorato che voleva tenere insieme teologia cattolica e cultura cinese, puntando sul confucianesimo e su von Balthasar, di cui mi ero appassionato quando ero ancora protestante. San Tommaso, von Balthasar e De Lubac sono figure che nel mio cammino di conversione mi hanno aiutato a vedere la bellezza della fede cattolica, ma von Balthasar è l’autore a cui mi sento forse più vicino, per il tema dell’incontro con la bellezza divina».

Cosa lo può collegare alla Cina?

«In una prefazione a Herrlichkeit (Gloria) scrisse che quell’opera in sette volumi rimaneva troppo mediterranea e che sarebbe stato bello arricchirla con altre tradizioni filosofiche che lui non conosceva a sufficienza. Penso che oggi sarebbe contento di sapere che qualcuno che studia la filosofia cinese ha preso a cuore il suo auspicio. Mi sono soffermato su un aspetto fondamentale della teologia di Balthasar, l’obbedienza di Cristo come Figlio. In Confucio è fondamentale il concetto di xiao, di pietà filiale, che riguarda sia l’obbedienza che l’amore filiale. Per cui l’idea era di prendere il progetto di Balthasar e di vedere come sarebbe stato inserendovi una sorta di sensibilità confuciana in merito al tema della filialità e dell’obbedienza. Se ciò avrebbe potuto in qualche modo allargare o chiarire la comprensione di quello che Balthasar aveva in mente».

Quali sono altri aspetti del confucianesimo sui cui può fare leva l’annuncio cristiano?

«Il confucianesimo si concentra sull’importanza della vita morale, sul fatto che per fiorire come esseri umani dobbiamo coltivare le virtù. Quindi l’articolazione delle virtù come la troviamo in Aristotele, in san Tommaso o nella filosofia scolastica trova una chiara analogia nel confucianesimo, compresa l’importanza della famiglia come istituzione che permette il costituirsi e il fiorire della personalità. Ma anche il tema della Provvidenza è marcato nel confucianesimo».

Provvidenza vuol dire che il confucianesimo è teistico?

«La cosa è dibattuta fra gli studiosi. Alcuni, soprattutto nel mondo di lingua inglese, presentano il confucianesimo come una tradizione naturalistica e atea. Ma io penso e ho provato a dimostrare che il confucianesimo ha al cuore una forma di teismo. Certamente non una nozione di Dio precisa come quella cristiana. Durante la dinastia Zhou, sotto la quale visse Confucio, il cielo o Tian era come una divinità suprema. Ci sono altri termini come Shangdi, che significa l’imperatore in alto, che vengono usati in riferimento a Dio, ma per Confucio Tian è il termine chiave. Nei testi confuciani classici Tian è visto come forza che governa il mondo, sovrintende all’ascesa e alla caduta degli imperi, indica ciò che è morale e ci dà la capacità di essere morali. Tian può essere quindi la legge morale, ma a volte è più forte ed è come una figura divina, anche se non proprio un Dio personale, assomiglia più al motore immobile di Aristotele. C’è un dibattito su questo tema, ma ciò che mi piace ricordare è il numero di studiosi confuciani che si sono convertiti al cattolicesimo, da quando inizia una tradizione di cattolicesimo cinese, e in seguito, fra i cinesi cresciuti come cattolici, la costante consapevolezza delle analogie tra Tian e la nostra idea di Dio».

Meglio il confucianesimo che il taoismo per arrivare al cattolicesimo, quindi?

«Penso che se san Tommaso avesse conosciuto i classici cinesi avrebbe apprezzato il confucianesimo, come scrivo nel mio ultimo libro, e più del taoismo. Ma in altri scritti ho cercato di mettere positivamente a confronto il Tao Te Ching con il pensiero di von Balthasar, dello pseudo Dionigi Areopagita o con la tradizione apofatica della teologia greca. Per cui anche la tradizione taoista può scoprirsi in certi momenti compagna di quella cattolica. Ma è un fatto che da Matteo Ricci fino al cattolicesimo cinese moderno il confucianesimo è ritenuto un terreno più fecondo per la semina del Vangelo».

Quanto è viva la tradizione confuciana nella Cina di oggi?

«È difficile avere dati precisi sulla pratica religiosa. Come influenza culturale la tradizione confuciana rimane forte nella diaspora cinese, la Cina continentale è invece più strana. Dalla fine della dinastia Qing (nel 1912 ndr) si sviluppò una corrente di pensiero che vedeva nel confucianesimo uno dei fattori che avevano reso il Paese debole, vulnerabile alla predazione dell’Occidente e uno degli obiettivi della la Rivoluzione culturale sotto Mao Zedong fu proprio l’eliminazione della tradizione confuciana. Ma dopo Mao ciò è cambiato. Valori come la pietà filiale, che erano stati respinti durante la Rivoluzione culturale, sono stati rivalutati dal regime. Alla fine degli anni ‘90 e all’inizio degli anni 2000 il partito comunista ha iniziato a promuovere nel mondo proprio gli Istituti Confucio. Oggi, sotto Xi, assistiamo a una rinascita confuciana in senso formale, anche se non so quanto reale. Sicuramente il regime vuole investire in questa direzione».

A proposito della famiglia, argomento del suo articolo, quali sono gli aspetti che noi cattolici condividiamo con i confuciani?

«La tradizione confuciana pone un’enfasi particolare sul matrimonio, il grande maestro Mengzi dice che quello tra marito e moglie è il più grande dei rapporti umani. La sessualità umana e il matrimonio sono ordinati alla procreazione. In un contesto come quello odierno, dove si cerca di rendere la famiglia sostituibile con altre forme di unione e di comunità, cattolicesimo e confucianesimo sul punto possono trovarsi certamente uniti. E anche ciò che il confucianesimo insegna riguardo al dovere dei figli, adulti in particolare, di prendersi cura dei genitori, di onorarli, trova una grande sintonia con l’etica cattolica. Nelle prime traduzioni dei Dieci Comandamenti scritte dai gesuiti Matteo Ricci e Michele Ruggieri, il comandamento di onorare il padre e la madre viene tradotto con il termine confuciano di pietà filiale. Quei missionari erano sulla strada giusta.

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