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Alessandro Ossola durante una presentazione ai ragazzi dell’Inclusive Padel Tour - undefined
Alessandro Ossola ha solo 37 anni ma ha già vissuto due vite. La prima si è interrotta nel 2015 quando, a causa di un incidente in moto, ha subito l’amputazione della gamba sinistra. La seconda è iniziata subito dopo, quando ha dovuto rimettersi in piedi. Ha trasformato il dolore in riscatto. È diventato un atleta paralimpico della Nazionale italiana di atletica leggera, ha preso parte ai Giochi paralimpici di Tokyo e Parigi, ha fondato un’associazione per diffondere un messaggio di inclusione, ha creato un torneo di padel unificato, a cui partecipano giocatori disabili e normodotati. E ha ancora – racconta – molto altro da fare.
Cos’è cambiato, nella sua idea di sport, dopo l’incidente?
«Ho sempre fatto sport a buoni livelli. Ho giocato a calcio a 5 anche in alte categorie e mi sono sempre divertito e appassionato allo sport in generale, perché per me non è solo il classico metodo di aggregazione sociale, ma è proprio l’obiettivo. A me piace avere uno scopo quando faccio uno sport, ma non perdo mai di vista il fatto che mi devo divertire. Ed è un po’ quello che mi è mancato in atletica, perché atletica è tanto sacrificio, sudore, fatica però non c’è la parte giocosa, divertente. C’è solo la performance che in quel periodo della mia vita, dopo l’incidente, era proprio quello di cui avevo bisogno. Sfidare me stesso sempre un po’ di più, riuscire a vincere, ma non solo la gara, a vincere me stesso, a migliorarmi. Questo era un po’ il mio obiettivo».
E oggi ha ritrovato quel divertimento che non le ha dato l’atletica?
«La parte del divertimento, del ritrovarsi nello spogliatoio, del prendersi in giro l’ho ritrovata nel padel. Ed è lo stesso motivo per cui molti calciatori, finita l’attività professionistica, si buttano nel padel. Perché ritrovi le stesse dinamiche, anche se è paradossale perché calcio e padel sono due sport completamente diversi. Ma non in tutto, perché in realtà sono sport di zona, sono sport di squadra, hai di nuovo quell’effetto un po’ di terzo tempo, l’effetto spogliatoio. Da questa spinta è nato l’Inclusive Padel Tour».
Come nasce l’idea di creare un torneo di padel unificato?
«Perché tutti gli sport che siamo abituati a vedere fanno parte di due mondi. Uno è il mondo olimpico e l’altro è il mondo paralimpico. Però non esiste un mondo a metà. Non c’è mai una competizione dove persone con disabilità giocano insieme a normodotati. Noi abbiamo rimescolato un po’ le situazioni e abbiamo trovato che non sono due mondi diversi, ma è un mondo unico in cui si può fare sport insieme. Abbiamo creato un circuito dove ci sono ormai più di 80 di quelli che noi chiamiamo “bionici”. Sono persone con disabilità diverse che partecipano ai nostri tornei. Noi andiamo a chiedere ai club che ospitano la tappa di trovare i normodotati con cui farli sfidare. Ed è un’integrazione che funziona perché nello stesso torneo ci sono livelli completamente diversi ma il bello è vedere il divertimento che c’è, la gioia del partecipare. E abbiamo avuto anche partecipanti famosi, come Ciro Ferrara, Luigi di Biagio e Bernardo Corradi, tutti campioni del mondo».
L’obiettivo sarebbe far diventare il padel uno sport olimpico e paralimpico?
«Assolutamente sì. Siamo in contatto anche con una serie di enti no profit che si occupano di aiutare lo sviluppo degli sport e farli diventare paralimpici. Uno è il World Sport Ability, un ente no profit inglese che organizzerà insieme a noi a ottobre una specie di campionato del mondo di padel in Turchia, con l’obiettivo di praticare questo sport in maniera inclusiva».
Avete fatto la prima tappa del tour a Pesaro solo tre anni fa, ora siete già internazionali
«È una sorpresa anche per noi vedere che c’è tanta passione dietro e che ci sono anche tanti enti che ci aiutano. Ovviamente non abbiamo dei fondi illimitati, anzi siamo sempre alla ricerca di chi ci sostiene, anche perché tutti i contributi vengono reinvestiti per dare rimborsi spese a tutti i giocatori che partecipano. Però è emozionate pensare che siamo partiti in sei coppie, facendo piccole tappe italiane, e pochi giorni fa eravamo invece in più di 80 a giocare a padel a Miami. È motivo di orgoglio, ma anche una motivazione per continuare così».
Lei è anche fondatore di Bionic People: di cosa si tratta?
«Bionic People è un’associazione no-profit con la quale gestiamo tra l’altro l’organizzazione del tour. È un’associazione che ha l’obiettivo di cambiare l’occhio con cui le persone guardano la disabilità e la diversità in genere. Cerchiamo di trasmettere che “diverso” è un valore e non un limite, non un meno, ma un più. Perché secondo noi nella diversità c’è un valore. Lo facciamo con la formazione, quindi andando nelle scuole, nelle università, ma anche nelle aziende. Ovunque ci chiamano noi andiamo perché c’è un messaggio da condividere: nella diversità c’è un valore, non un limite».
Quali saranno i suoi prossimi obiettivi?
«Già quest’anno abbiamo raggiunto un obiettivo incredibile, quello di giocare su tre continenti, America, Europa e Asia. Il prossimo obiettivo sarà cercare di ampliarci ancora, vediamo se riusciamo già nel 2026 o se ci tocca aspettare il 2027. Oggi stiamo cercando delle realtà che ci sostengano per crescere perché ormai è diventato un impegno grande e serve aiuto. Da una cosa piccola è diventata una cosa grandissima. Ma per portare a termine tutto quello che abbiamo in mente e molto di più ci servono sostenitori che credano nel valore dell’inclusione».
Alla luce di tutte le sue esperienze, qual è oggi la sua definizione di sport?
«Lo sport è la possibilità di riprendere in mano la tua vita. Ti dà gli obiettivi che ti servono per tenere sempre un morale alto e un focus su quello che c’è da fare. Penso che quando capitano delle situazioni complesse, come ad alcuni dei giocatori dell’Inclusive Padel Tour, ma a tutti in generale, perché, anche a prescindere dalla disabilità, a volte capitano nella vita delle situazioni complicate, si hanno sempre due possibilità. O ti arrendi e le patisci o cerchi di reagire e cavalcarle. Quello che facciamo noi è quello di cercare di reagire. E lo sport ti aiuta a essere focalizzato su quelli che sono gli obiettivi. È essere organizzati, avere fame di obiettivi e non lasciarsi travolgere dalle cose negative che la vita a volte ti mette davanti».