
Valerio Mastandrea protagonista e regista di "Nonostante" - .
Cosa c'è mai nella “terra di mezzo” quando si è tra la vita e la morte? C'è anche in quello spazio una vita, casomai diversa, ma in cui si è ancora capaci di amore? E si può raccontarla con il tono ironico e dolceamaro della commedia romantica? La risposta è sì se si tratta di Valerio Mastandrea, non solo in quanto attore versatile e sornione, ma perché alla sua seconda prova da regista sorprende per profondità, poesia e coraggio in Nonostante, che racconta questa sorta di limbo pieno di vita in cui si trovano dei malati in coma in ospedale. Assenti per i parenti in trepida attesa del loro risveglio, ma tra loro ben presenti e capaci di amicizia e amore.
Il film, che ha aperto la sezione Orizzonti di Venezia 81 e ora da oggi in sala con Bim, ha soggetto e sceneggiatura firmati da Enrico Audenino e dallo stesso Mastandrea, che ne è anche produttore e protagonista. Un uomo (Valerio Mastandrea) è ricoverato da tempo in ospedale dove trascorre serenamente le sue giornate senza troppe preoccupazioni, aggirandosi nel cortile e fra le stanze. Parla con altri ricoverati come lui, agli occhi di tutti gli altri è invisibile, perché in realtà è bloccato in un letto in stato comatoso da chissà quanto tempo. Fra i corridoi si aggira una buffa comunità di pazienti invisibili (i sempre bravissimi Lino Musella e Laura Morante) con cui passare il tempo nell’attesa speranzosa della guarigione e nel terrore del vento della morte che può portarti via da un momento all’altro. All’improvviso, una nuova ricoverata bella a grintosa (Dolores Fonzi) dona una scossa alla routine dell’uomo facendogli riscoprire l’amore travolgente e romantico e la voglia di vivere.
Nei titoli di coda compare, in questa edizione del film rivisitata e ridotta rispetto a quella presentata al Lido, una dedica del regista molto personale, quella alla memoria del padre, morto undici anni fa a soli 64 anni.
Valerio Mastandrea, cosa significa “Nonostante”?
«Io sono un “nonostante”, e come me siamo tanti al mondo. Persone che possono essere attraversate da un sentimento enorme e che possono accoglierlo. Anche mio padre lo era: mi sono ispirato a lui, a una tipologia che se incontra una emozione forte non ha paura di viverla. L'idea l'ho presa da un poeta, Angelo Maria Ripellino, che in una sua opera parlava della sua esperienza in sanatorio, dicendo che siamo tutti dei “nonostante”, sferzati dal vento che cercano di resistere alle sofferenze della vita».
Nel suo film c’è una grande voglia di vivere, nonostante lo spettro incombente della morte.
«Raccontiamo quanto l’amore ti spinge a vivere, il coraggio che ti dà un incontro, il sentimento determina le scelte che fai nella vita. Questa è una storia d'amore dissonante che racconta anche quanto coraggio serve per affrontare una storia d'amore sia da giovani che da maturi e da vecchi. E comunque noi viviamo in funzione della morte, la morte è il macrotema della maggior parte delle storie».
Come ha giocato tra realtà e soprannaturale?
«Abbiamo creato una dissonanza tra reale e non reale. Il cinema è linguaggio, ci siamo divertiti su questi due piani, rimanendo nel rispetto del percorso di quelle persone che stanno davvero in quello stato lì. Uno stato che per noi è allegorico, una terra di nessuno dove i sentimenti sono più forti e più riconoscibili e dove devi implicarti. L’amore ti sblocca da quella situazione di immobilità in cui pensi di stare bene».
Un’idea originale, ma anche rischiosa…
«L'idea dell'ospedale e delle persone in coma era talmente estrema da apparire subito una metafora perfetta. Ci siamo concentrati su vita e morte come simboli. Le persone ferme nei letti rappresentano le persone ferme nella vita, e l'incontro con l'amore ti mette davanti a una fragilità che devi avere il coraggio di affrontare. Ci siamo però tenuti a distanza dall’indagare la condizione del coma, usata come pretesto per raccontare la sospensione nella vita. Una pausa da cui solo l’amore può farti uscire».
Avete avuto collaborazioni con medici che si occupano delle persone in coma?
«Abbiamo avuto la collaborazione della neurologa Rita Formisano, direttore dell’Unità Operativa Neuroriabilitazione 2 dell’IRCCS Santa Lucia di Roma e presidente del gruppo scientifico internazionale su coma e disordini della coscienza insieme al norvegese Daniel Kondziella. L’abbiamo coinvolta per raccontare soprattutto gli aspetti tecnici dell’ospedale, che abbiamo ricostruito in una struttura circolare, a simboleggiare la circolarità della vita. Nel momento in cui siamo entrati in contatto con quel mondo, abbiamo capito che non avremmo potuto raccontarlo, abbiamo capito che c’è un mondo incredibile di sofferenza, ma anche di speranza».
Giorgio Montanini, l’attore che interpreta un volontario-medium che riesce a parlare con i comatosi, ha raccontato di avere vissuto pure lui l’esperienza del coma….
«Nel 2023 lui era stato un mese e mezzo in coma a causa di una polmonite bilaterale. Così, quando ha ricevuto la sceneggiatura di “Nonostante” appena ripreso conoscenza, pensava fosse uno scherzo. Ma io non lo sapevo, gli ho anche chiesto scusa. Ma mi piaceva l’inquietudine che sa dare a un personaggio che sta un po’ di qua e un po’ di là, a mezzo tra due mondi».
Lei ha già incontrato la malattia nella serie ambientata in un reparto oncologico nella serie “La linea verticale” diretta dallo scomparso Mattia Torre dall’omonimo romanzo autobiografico.
«Si trattava di un percorso individuale molto autobiografico, c’era il tono di Mattia che è inarrivabile, il suo sguardo sulla malattia raccontata in maniera non scontata».
Cosa vorrebbe che arrivasse del Mastandrea regista al pubblico?
«A me basta che il pubblico riconosca che è un film mio, che riconosca un buon intento. L’imperfezione dei film è una risorsa, non è una condanna. Il mio è un lavoro di ricerca continua sulle grandi domande della vita o anche sulle più piccole. Abbiamo fatto delle anteprime molto belle di Nonostante col pubblico con reazioni molto positive. L’emozione è alla base di tutto. Ho incontrato anche persone che hanno avuto esperienze in quel contesto e che rispondono in maniera molto spirituale. Il mio film non dà nessun messaggio, lascia libero lo spettatore di farsi la sua idea. La spiritualità non era contemplata, invece è un aspetto che emerso dopo ed è molto interessante».