Victoria Mas - Astrid di Crollalanza
Dopo Il ballo delle pazze (50mila copie vendute in Italia), in cui racconta la fuga da una follia presunta, Victoria Mas esplora l’attrazione che l’essere umano prova da sempre per il soprannaturale, così forte da spingerlo talvolta alla follia vera. Lo fa ne L’apparizione, suo nuovo romanzo, appena uscito per Edizioni E/O, in cui racconta un’apparizione celeste che avviene ai giorni nostri, su una piccola isola della Bretagna, con tutto ciò che si porta dietro quando una piccola comunità si trova di fronte a un evento così straordinario. Victoria Mas sarà al Salone del Libro domenica 21 maggio e con lei abbiamo parlato di donne ribelli, rapporto con la fede e paura.
Come si è avvicinata alla storia della santa francese Caterina Labouré?
Nell’estate del 2020 ho visitato la Cappella della Madonna della Medaglia Miracolosa, che si trova a Parigi. È un luogo di culto dove si suppone ci sia stata un’apparizione della Vergine Maria nel XIX secolo. Lì sono rimasta colpita dall’atmosfera della cappella e ho iniziato a interessarmi a questi eventi “invisibili”, che radunano così tante persone e scatenano così tante risposte emotive.
Qual è il suo rapporto con la fede e la religione?
Non sono cresciuta in un ambiente religioso, anche se sono stata iscritta a una scuola cattolica. Il fatto di essere cresciuta senza preconcetti mi ha fatto affrontare l’argomento in maniera più neutra. Più che l’aspetto religioso qui mi interessava la psicologia delle masse e la comprensione del rapporto che le persone hanno con l’invisibile.
Quanto è importante la scelta del luogo per questo libro?
Per me ciò che dà inizio a un libro è il luogo, che deve essere il personaggio principale. La Bretagna ha una ricca storia di tradizioni cristiane, celtiche e pagane. È una terra di racconti e leggende, costantemente a cavallo tra finzione e realtà. Inoltre è un luogo in cui sono state registrate alcune apparizioni, quindi perfetto per ambientare il libro, perché c’è un aspetto mistico ma è anche un luogo di contrasto.
Il libro si apre con una citazione di Victor Hugo, è un suo riferimento?
Leggevo le sue poesie mentre scrivevo il libro. La sensazione e l’atmosfera che volevo trasmettere attraverso le pagine e la storia, me le richiamavano costantemente.
Il tema del Salone di quest'anno è “Attraverso lo specchio”. Cosa c’è nel suo specchio?
Ho cercato di scrivere personaggi che all’improvviso si trovano di fronte a qualcosa di straordinario e che va completamente contro le loro convinzioni, il loro sistema di credenze e ciò che fino a quel momento credevano fosse vero. E così devono cambiare per adattarsi a questa nuova situazione che stanno affrontando, e si mettono in discussione e mettono in discussione il loro modo di pensare. Dubito tanto dei personaggi quanto di me stessa. Certo, non si può cambiare idea ogni giorno, ma si deve permettere alla differenza e al cambiamento di entrare nelle nostre vite. Quindi, guardando attraverso lo specchio, cerco sempre di fare un passo avanti nella mia vita e nella mia quotidianità e pensare: cosa ho imparato oggi?
Qualche giorno fa, in Italia, è stato l’anniversario della Legge Basaglia. Cos’è per lei la follia, argomento del suo primo libro?
La follia può essere associata a un termine negativo. Ogni volta che si parla di qualcuno che è pazzo, è sempre inteso come qualcosa di negativo. Le donne di cui ho scritto nel mio primo libro erano considerate pazze, e questo è letteralmente il termine che usavano in quel periodo. Era un modo per eliminare la loro umanità. Tuttavia, la salute mentale dovrebbe essere dissociata dalla follia. In realtà credo che la follia sia una cosa positiva. Perché significa uscire dai canoni. Significa essere in grado di guardare il mondo e agire in modo diverso, purché non danneggi nessuno. E penso che l’eccentricità sia interessante, perché porta un colore e un punto di vista diverso sulla vita e le persone. E ci permette di vedere il mondo attraverso gli occhi di qualcun altro, che può essere una cosa positiva. Credo la follia abbia anche a che fare con il rischio e credo si facciano buone scelte quando si rischia.
Le apparizioni sono fenomeni spirituali, ma anche antropologici e sociologici.
Ho fatto molte ricerche per capire davvero la psicologia delle folle e come le persone reagiscono a qualcuno che, in fondo, viene a vedere qualcosa che non si potrà vedere, ma in qualche modo vuole farne parte. A un certo punto l’umanità chiede sempre prove e queste non sono mai abbastanza. Credo che la negazione sia un aspetto interessante. A volte, anche se Dio dovesse apparire letteralmente, credo che alcune persone continuerebbero a dubitare. Per me, quindi, non è importante vedere per credere, ma il modo in cui scatta qualcosa nelle persone. È un sentimento molto forte. Ciò trovo interessante dal punto di vista sociologico è il modo in cui le persone si appropriano della situazione e la fanno diventare propria. Di solito inizia tutto con qualcosa di intimo, poi diventa collettivo.
A un’apparizione le reazioni possono essere di curiosità, ma anche di paura.
Ci sono persone che credono e pregano, altre che hanno reazioni violente. Se ne parla meno, ma alcune persone che hanno detto di aver avuto visioni sono state perseguitate e talvolta uccise da folle inferocite, che non volevano credere. Avevano paura dei messaggi portati da queste apparizioni, che talvolta possono essere di incoraggiamento, speranza, ma anche di avvenimenti nefasti che avverranno in futuro. Quindi, in un certo senso, alcuni messaggi sono stati interpretati come apocalittici e perciò non visti come un buon segno. Le paure credo derivino da tutto questo.
Si è soli nella scrittura, ma si ha un impatto sulla società. Un po’ come chi vive un’apparizione.
Per me la scrittura è una scoperta: vedo gli scrittori non tanto come creatori quanto come ponti. Quando scrivo è come se fossi l’anello di congiunzione tra qualcosa che accade – perché di solito mi ispiro a eventi storici reali – e qualcosa che immagino. In un certo senso non sento che l’ispirazione viene dall’interno, ma è come fosse trasmessa. E gli scrittori sono come contenitori. Per me scrivere è trasmettere qualcosa che ci è stato tramandato. Si tratta di una storia che nasce e ci chiede di darle vita nel modo più rispettoso e bello possibile. Quindi scrivere è un modo di vivere.