Luca Guadagnino e Daniel Craig alla presentazione di Queer - Ansa/Fabio Frustaci
E alla fine arrivò in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia il giorno di Queer di Luca Guadagnino preceduto da un astuto can-can pubblicitario per lanciarlo come “film scandalo” stuzzicando la curiosità del pubblico sulle scene di sesso omosessuale esplicito impersonate nientemeno che dal machissimo 007 Daniel Craig, nei panni del protagonista dell’omonimo romanzo di William Borroughs. Scelta spiazzante che fa comodo a Guadagnino per lanciare il film e a Daniel Craig per scrollarsi definitivamente di dosso l’ingombrante personaggio di James Bond. Limitarsi a questo, però, non rende merito né al tormentato romanzo dello scrittore della Beat Generation (uscito 35 anni dopo la sua scrittura), né al complesso tentativo di Guadagnino di portare in scena «un romanzo che mi ha cambiato la vita a 17 anni», né al talento di un grande attore come Craig che nel film dà una prova ricca di sfumature da Coppa Volpi. Alcune scene forti ci sono e risultano superflue e forzate nel contesto di un lavoro che invece vuole, come dice il regista, raccontare una storia d’amore romantica in generale. Queer è un film riuscito a metà. Riuscito nel raccontare con efficacia stilistica e colonna sonora potente (dai Nirvana a Prince) specie nella prima parte il dramma della discesa nell’abisso del protagonista, tra solitudine, dipendenze da droghe e alcol, alla ricerca di un vero amore, forse impossibile. «Il ruolo del regista è cercare l'umanità anche nelle zone più oscure» commenta Guadagnino che sostiene il film essere nato «dalla gioia». Invece aleggia una grande tristezza di chi fa fatica a vivere la propria condizione di omosessuale, specie nella società americana degli anni 50 e 60. Craig veste i panni di William Lee (alias Borroughs), uno scrittore americano che nel 1950 è espatriato in una Città del Messico libera, dove passa le sue giornate quasi sempre nei locali gay della piccola comunità americana a bere e andare a letto con chi capita, ma l'incontro con Eugene Allerton (Drew Starkey), giovane e distaccato studente appena arrivato in città, lentamente lo fa innamorare davvero. Nella seconda parte, in gran parte inventata, diventa tutto più psichedelico, Lee con l’ambiguo Allerton intraprende un viaggio nella giungla alla ricerca dello yage una radice allucinogena con la quale fanno un viaggio sconvolgente dentro se stessi. Questa lunghissima e misteriosa parte onirica sfilaccia il racconto e trasporta anche gli spettatori dritti nelle braccia di Morfeo, come dimostrano i tiepidi applausi alla proiezione per la stampa.