giovedì 26 dicembre 2024
Il virtuoso pianista milanese, apprezzato da tutti i grandi jazzisti della scena internazionale racconta la sua carriera e i tanti progetti da realizzare alla luce del disco natalizio "Christmas Time"
Il pianista milanese Antonio Faraò, in uscita con il disco“Christmas Time”

Il pianista milanese Antonio Faraò, in uscita con il disco“Christmas Time” - Andrea Vialardi

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«Non mi capita spesso di essere sorpreso da registrazioni di musicisti, come lo sono stato quando per la prima volta ascoltai uno degli ultimi cd di Antonio Fa­raò. Ciò che mi ha colpito è stata la sensazione che ho sentito dentro di me. C’è talmente tanto calore, convinzione e grinta nel suo modo di suonare. Mi ha imme­diatamente attratto la sua concezione armonica, la gioia dei suoi ritmi e il suo senso di swing, la grazia e il candore delle sue linee melodiche improvvisate. Anto­nio non è solo un ottimo pianista, è un grande». Questo, l’encomio integrale di uno dei giganti del jazz, il pianista afroamericano Herbie Hancock che rende omaggio al collega italiano Antonio Faraò. Milanese, classe 1965, Faraò è uno di quei virtuosi del nostro panorama jazzistico che fin dagli inizi ha riscosso più consensi all’estero e soprattutto nell’empireo americano (la lista delle collaborazioni è infinita) che da noi. Un vuoto di memoria, tipico italico, che qualcuno potrà colmare, magari proprio la notte di Natale mettendosi in ascolto del suo ultimo disco, Christmas Time (Azzurra Music) che sicuramente piacerà anche al mentore Herbie Hancock e non solo.

Prima di aprire la parentesi sui suoi brani natalizi chiudiamo quella della “distrazione” di critica e istituzioni nazionali.
«La musica per me è una missione, un atto spirituale di profonda libertà. Penso che una forma libera di espressione come l’arte non dovrebbe mai avere alcuna contaminazione politica…».

Raccontare la musica in televisione come fa il pianista Stefano Bollani può essere un atto di libertà?
«Bollani suona tutto in modo impeccabile, oltre ad essere un super showman. Essere grandi jazzisti per me comunque vuol dire anteporre la missione allo show, un musicista che ho sempre apprezzato sin dall’adolescenza per esempio è Franco D’Andrea che seguo da quando avevo 15 anni oltre a Giorgio Gaslini, grande artista il quale tra i tanti meriti ha avuto anche quello di introdurre il jazz nel conservatorio dove prima non figurava».

Conservatorio in cui si è formato anche il giovane Faraò.
«Ho cominciato a suonare a 6 anni, un vibrafono giocattolo, poi la batteria per poi dedicarmi al pianoforte, di seguito ho iniziato a prendere lezioni private di pianoforte con Adriano Della Gustina, in un secondo momento Al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano con il maestro Riccardo Risalti, ma ho capito presto che la mia strada non era la classica e questo grazie ai dischi che entravano in casa».

E’ figlio d’arte con genitori musicisti?
«No, ma i miei genitori quando avevo 6 anni mi portarono al Teatro Lirico al concerto della big band di Count Basie che accompagnava Ella Fitzgerald. Una folgorazione. Con mia madre, Vera Renè Rocca, poetessa e pittrice (due suoi quadri sono diventati le copertine dei miei dischi) ascoltavamo tutto il repertorio swing e assieme a papà la musica di Benny Goodmann, Teloniuos Monk, Duke Ellington , John Coltrane, Charlie Parkere crescendo ho scoperto l’eclettismo di Miles Davis e il piano di McCoy Tyner, e quest’ultimi, con Herbie Hancock, sono diventati i miei punti di riferimento assoluti».

Per McCoy Tyner ha partecipato a un progetto molto importante qualche anno fa.
«Sono stato chiamato dal figlio Nurudeen, che ha messo in piedi un super quintetto, il McCoy Tyner Legends, in cui sono l’unico musicista europeo, la band è composta da Chico Freeman (sassofono), Ronnie Burrage (batteria), Steve Turre (trombone) e Avery Sharpe (basso) che è anche il direttore artistico della band. Un altro progetto importante è statoil quartetto con Benny Galson, una vera icona alla con cui avevo un rapporto umano molto forte al punto che volle scrivere le note di copertina del mio disco più “elettrico” Eklektik».

Torniamo all’elettricità del Natale e a questo disco improvviso: ma come nasce Christmas Times?
«Qualche anno fa avevo fatto un arrangiamento di Jingle Bells che poi era finito nel cassetto. Poi una sera mentre ero al soundcheck con Benny Golson, il suo batterista, Sangoma Everett, ascoltò questo brano che stavo suonando da solo ed entusiasta mi disse che voleva metterci le parole. Così quando l’ho ritirato fuori con le altre nove tracce del disco ho pensato alla voce di Mario Rosini con cui da tempo dicevamo di fare delle cose insieme e lui ha messo il testo di Christmas Time che è l’unico inedito e dà il titolo all’album».

L’altro eclettico Mario Rosini, capace di arrivare 2° al Festival di Sanremo del 2004 con il brano Sei la mia vita e poi sparire dai radar della musica nazionalpopolare per proseguire la missione del cantante jazz.
«La mia stima per Mario è grande. Rosini è un vero talento, ma torniamo all’inizio del discorso, qui da noi spesso i talenti vengono considerati soltanto per come si presentano in tv e non per come cantano e soprattutto vengono riconosciuti sulla scorta dei milioni di followers che portano in dote. Poi però basta ascoltare la voce di Rosini in Christmas Time, e credo che non ci sia bisogno delle piattaforme virtuali per riconoscere la portata reale del talento».

Tra i brani classici della tradizione americana, come Santa Claus, is coming to town o Let it snow! Leti t snow! spicca il brano in napoletano Quando nascette Ninno.
«Quello, assieme agli standard di Sinatra o di Crosby, rappresenta la colonna sonora del mio Natale da bambino. La nostalgia della Vigilia a tavola con i genitori e poi a guardare fuori le luci dell’albero in giardino, magari ricoperto dalla neve che ancora cadeva e che purtroppo a Milano non vediamo più da una decina di anni, La magia del presepio dentro al quale avrei voluto vivere. Quella magia adesso la ritrovo con mia moglie e i nostri due ragazzi, ma la magia del Natale oscilla in quelle note che vanno da Quanno nascette Ninno di Alfonso Maria de Liguori che è anche l’autore di Tu scendi dalle stelle, fino al classico americano Winter Wonderland, musicata da Felix Bernard su testo di Richard B. Smith, che chiude l’album».

Album che ascolteremo nel suo primo appuntamento live del nuovo anno, il 19 gennaio al Blue Note di Milano
«Essendo tutte canzoni natalizie ormai le riproporrò dal vivo in un possibile tour da organizzare per le festività del 2025. Al Blue Note, oltre ai pezzi storici del mio repertorio, eseguirò i brani del disco uscito lo scorso giugno, Tributes (registrato per la storica etichetta Criss Cross) realizzato con il contrabbassista John Patitucci e il batterista Jeff Ballard. Disco, guarda caso entrato nella Top 50 di US Jazzweek Charts che è un tributo tra gli altri musicisti a McCoy Tyner e Chick Corea. Presto inizierò a lavorare al mio primo piano solo, perché un pianista jazz che si rispetti almeno una volta nella vita deve confrontarsi con questa sfida. Infine con un po’ di tempo a disposizione, visto che per il precedente ci sono voluti due anni, inizierò presto anche a lavorare su Eklektik 2».

Da eclettico alla Davis forse le manca ancora una contaminazione con il pop, ma c’è un artista con cui collaborerebbe volentieri?
«Un artista che stimo tanto è Mario Biondi. La sua è una voce soul ma l’hanno fatto diventare pop. E questo perché a volte il jazz può fare anche di questi scherzi – sorride - , specie a chi lo vive come un dono e come la possibilità di esplorare sempre nuovi orizzonti per poi trasmettere certe conoscenze a chi ci ascolta. Buon Natale, ora è davvero Christmas Time».

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