I restauri a Notre-Dame - Epa/Ian Langsdon
Il più scrutato cantiere di Francia, destinato a riparare le ferite della cattedrale di Notre-Dame, offriva già ai visitatori un coloratissimo segnale benaugurante: la riproduzione, sulla palizzata davanti alla facciata, di disegni infantili sul rogo del 15 aprile 2019, compresi quelli in cui una Madonna abbraccia teneramente l’edificio o lo protegge sotto il mantello. Adesso, un’altra iniezione simbolica di speranza giunge da una mostra voluta in occasione della riapertura, domani, del quartiere archeologico di epoca romana nascosto sotto il sagrato, scoperto nel 1965. La cripta archeologica dell’Île de la Cité era stata chiusa per precauzione dopo il rogo, pur non avendo subìto danni. Adesso, la visita di quest’antro poco noto, che include vasche termali e rappresenta l’unico scavo archeologico visitabile a Parigi, potrà divenire anche l’occasione per rivivere la storia della cattedrale di Notre-Dame. Non quella originaria della costruzione, fra il 1163 e il 1345, ma i decenni ottocenteschi successivi alla pubblicazione nel 1831 di Notre-Dame de Paris. 1482, celeberrimo romanzo di Victor Hugo che ha dato materia pure ad innumerevoli adattamenti di ogni tipo, compreso un fortunato musical. Intitolata semplicemente Notre-Dame de Paris. De Victor Hugo à Eugène Viollet-Le-Duc, la mostra che rende omaggio a Notre-Dame ha il merito di ricordare ai visitatori che le sofferenze attuali dell’edificio non sono la prima ferita rilevante nella storia della cattedrale.
Basti pensare che nel primissimo Ottocento, nella scia del vandalismo perpetrato durante la Rivoluzione, il favore riconosciuto oltralpe allo stile neoclassico e il discredito per quello gotico contribuirono a ridurre l’edificio in uno stato di fatiscenza oggi difficilmente immaginabile. Si pensò persino di demolire l’edificio e forse sarebbe avvenuto se Notre-Dame non avesse trovato avvocati di prim’ordine, a cominciare dallo stesso Hugo. Grande appassionato d’architettura medievale e in particolare gotica, il romanziere dichiarò “guerra ai demolitori” – come titolava una mostra a Besançon nel 2018 che appunto metteva a tema la conservazione del patrimonio a partire dalla battaglia dello scrittore e di molti altri – denunciando sulla stampa la triste tendenza francese del tempo ad abbandonare e non di rado a rasare degli autentici gioielli della storia nazionale. Notre-Dame de Paris. 1482 (la data sparirà poi dal titolo), lungi dall’essere solo un’avvincente storia di gelosie incrociate e di altre umane passioni attorno alle figure del gobbo Quasimodo e della bella Esmeralda, rappresenta pure un inno alla centralità di Notre-Dame come tesoro e patrimonio della capitale, edificato in mezzo alla Senna, proprio sull’Île de la Cité dove sorse il primo nucleo dell’antica Lutezia d’epoca romana. Ma per restituire a Notre-Dame il proprio fulgore, accanto ai fondi pubblici necessari, ci volle pure tutta la passione del principale architetto, Eugène Viollet-Le-Duc, che portò a termine il cantiere ventennale (1844– 1864), il quale non rappresentò affatto un semplice restauro. Come l’esposizione mostra bene, Viollet-Le-Duc aggiunse fra l’altro un corteo di chimere alate di stile neogotico ai celebri doccioni mostruosi ( gargouilles) d’origine medievale: una trasformazione considerata da certi storici come ispirata dal gusto e dall’immaginario del capolavoro di Victor Hugo. Inoltre, l’architetto dotò nuovamente l’edificio di una guglia centrale, dopo lo smontaggio nel 1786 di quella risalente al 1250, che aveva sofferto di cedimenti strutturali.
L’attuale progetto di ricostruzione della svettante componente lignea incenerita l’anno scorso, dunque, vanta un illustre precedente. Provenienti in parte dal Museo Carnavalet sulla storia di Parigi, diversi scatti ottocenteschi risalenti agli albori della fotografia illustrano le fasi del cantiere: dalla guglia nuova di zecca che domina la capitale fino a certe statue svettanti, passando per le pose orgogliose dello stesso Viollet- Le-Duc davanti a strutture emblematiche dell’edificio. Certe fotografie dei decenni successivi hanno poi ancor più iscritto Notre-Dame nell’immaginario collettivo, come quella notturna di Brassai risalente al 1933, che mostra in primo piano la più nota delle chimere aggiunte da Viollet-Le-Duc. Degli acquerelli o delle vignette testimoniano a loro volta dell’eco che conobbe il cantiere, a riprova dell’ondata duratura d’interesse e della fervente passione popolare che circondarono la riabilitazione. All’ingresso della mostra, fra l’altro, uno scatto a volo d’uccello ricorda che nel secondo Novecento la piazza antistante la cattedrale venne aperta a un disordinato traffico automobilistico, con vetture parcheggiate anche attorno agli stessi scavi archeologici a cielo aperto, poi richiusi in forma di cripta e così esposti al pubblico dal 1980. L’attuale slancio di passione per il restauro di Notre-Dame «è il segno che il soffio dello spirito che ha voluto questa cattedrale non si è spento», ha dichiarato ad “Avvenire” monsignor Michel Aupetit, arcivescovo di Parigi. Uno slancio, come illustra pure la nuova mostra, che la cattedrale aveva già suscitato in altre avverse congiunture ed epoche.