Che cosa sia, ancora oggi per tanti non è ben chiaro; potrebbe essere una specie di dolmen moderno, una scultura megalitica, un misterioso strumento acustico che cattura i suoni del paesaggio e li compone in una sinfonia del silenzio. Per molti è
la chiesa del Novecento, l’unica che abbia saputo raccogliere la sfida di coniugare in modo sublime le esigenze del sacro cristiano con la modernità del linguaggio architettonico. Ronchamp, fin dal suo primo apparire, non ha mai smesso di suscitare o entusiasmi incondizionati ovvero feroci critiche. Ancora nel 1990 il quotidiano “La Croix” scriveva che la cappella di Ronchamp era «il monumento più discusso del nuovo irrazionalismo » (riprendendo, così, la critica feroce di Giulio Carlo Argan che vedeva nella chiesa di Le Corbusier l’abiura di tutto il percorso dell’architettura moderna); tre anni dopo, nel 1993, Gilles Ragot definiva invece Ronchamp «il solo capolavoro di tutta la stagione della ricostruzione». Appena la si vede salendo la collinetta alla sommità della quale da sessant’anni domina silenziosamente il paesaggio (anche dopo l’intervento discreto di Renzo Piano per il convento delle clarisse), è sempre difficile dire se sia proprio una chiesa. È chiaro che lo è, ma “srazza”, per così dire, da gran parte delle chiese costruite nell’ultimo secolo. Dunque, la cappella di Notre-Dame du Haut potrebbe essere un masso erratico, una grotta rupestre, una nave, un ricettacolo sonoro dei venti, o, come disse qualcuno vedendo le foto del primo progetto, una moschea. E in effetti alcune forme richiamano le architetture del deserto africano, ma in realtà Ronchamp è qualcosa di più misterioso, un grembo primordiale su cui si aprono fessure, occhi, segni: mi fa pensare alla Madonna del parto di Piero della Francesca con quel gesto della mano che apre leggermente la veste bianca e indica con le dita il bambino che sta crescendo in lei. E in effetti, Ronchamp è dedicata alla Vergine, e sorge su una collina dove durante la Seconda guerra mondiale si è combattuto, col sacrificio di tanti uomini. Come venne l’idea di questo “segno di contraddizione” dell’architettura sacra? La storia è ripercorsa da Françoise Caussé, nel volume firmato a quattro mani con la storica dell’architettura Maria Antonietta Crippa,
Le Corbusier. Ronchamp, che esce in questi giorni da Jaca Book con un nutrito apparato iconografico (pagine 240, euro 70,00). Il saggio di Françoise Caussé – storica dell’arte che ha pubblicato, tra l’altro, uno studio sulla prestigiosa rivista “L’Art Sacré” – si dipana come un palinsesto teatrale: prima la scena, poi i personaggi del dramma, infine la recita. Si comincia col 1905. L’anno della legge di separazione tra Stato e Chiesa. Tra le altre cose, la legge rendeva i comuni proprietari degli edifici sacri. La Chiesa corre ai ripari, vent’anni dopo, quando Pio XI approva un progetto di associazioni diocesane che rilancia l’iniziativa delle comunità cattoliche. Vengono predisposte regole rigorose per i finanziamenti di queste associazioni, ma la tutela degli edifici di culto è molto trascurata e la conservazione viene affidata alle Commissioni d’arte sacra nate all’interno delle associazioni. Gli artisti cristiani si danno da fare ma, come scrive la Caussé, «il loro ambiente autoreferenziale non produce grandi opere». Un problema che continua a esistere anche oggi. Nel 1935 nasce la rivista “L’Art Sacré”, che l’anno dopo viene presa in carico e diretta dai padri domenicani Marie-Alain Couturier e Pie-Raymond Régamey. Couturier era pittore di una certa abilità, nel 1925 prende l’abito domenicano e cinque anni dopo, trentatreenne, viene ordinato sacerdote. Ha la dispensa per continuare a dipingere e coltiva i rapporti con gli artisti. Nel 1939 va in Canada e negli Stati Uniti, da dove rientra a Parigi nel 1945, iniziando una battaglia culturale perché la Chiesa affidi incarichi per le proprie opere ai grandi maestri, favorendo artisti come Léger e Matisse e diventando amico stretto di Le Corbusier. Régamey, da luterano si fa cattolico nel 1926 e poi domenicano due anni dopo. Estremamente colto, nel 1945 riapre la rivista che nel frattempo aveva cessato le pubblicazioni. Nel suo
Art sacré au XXº siècle del 1952 sostiene, come ricorda Françoise Caussé, che «coloro che non colgono i valori artistici non possono riconoscere i valori religiosi che essi portano con sé». Posizioni scomode quelle che i due domenicani promuovono, attirandosi una certa ostilità (dal versante più conservatore che opera in Vaticano). Nel febbraio del 1954 «il Generale dell’Ordine venne a Parigi per notificare l’obbligo di allontanare da Parigi i padri Chenu, Congar, Féret e Boisselot… e Couturier» (che, però, è appena morto) dirà Régamey a Françoise Caussé nel 1991. In fondo, i “rivoluzionari” Couturier e Régamey pensano semplicemente che «l’arte religiosa deve trasmettere lo Spirito evangelico di cui le Beatitudini sono la pietra di paragone», scrive Caussé.Atto secondo. L’idea della cappella di Ronchamp. L’arcivescovo di Besançon, monsignor Maurice Dubourg, nel 1945, rispondendo al desiderio dell’amministrazione delle Belle Arti, decide di riorganizzare la Commissione e acconsente che l’opera sia gestita da François Mathey e da Lucien Ledeur. La commissione, presieduta dall’arcivescovo, avrà 12 membri, la metà sono laici («parità per allora molto innovativa») e si comincia a pensare in grande. Dubourg non è affatto ostile alle innovazioni, anzi scrive sull’“Art Sacré”: «In un’epoca in cui l’arte si cerca, occorre avere il coraggio di esaminare con un occhio favorevole certe novità, e non temere di fare delle esperienze, dovessero sembrare pure un poco temerarie» (ricorda un po’ il parere del cardinale Siri quando a proposito del film di Pasolini sul
Vangelo secondo Matteo scrisse nel 1963 a don Rossi della Pro Civitate che «per portare avanti la conquista della cultura a Dio, qualcosa bisogna pur rischiare. La prudenza in taluni casi consiglia l’audacia. Esclude solo la temerarietà»). Mathey è un personaggio molto importante, e fu quello che ebbe l’idea di coinvolgere Le Corbusier. Quando morì nel 1993 i suoi funerali vennero celebrati a Ronchamp e il cappellano lo salutò dicendo che fu «lo scopritore, l’intuitivo, l’uomo di libertà, il grande servitore dell’arte sacra». Ledeur, amico d’infanzia di Mathey (che era più giovane di sette anni), ordinato sacerdote nel 1937, è aperto alle ricerche dell’arte e sa mediare col clero. Riservato al punto da chiudersi, secondo qualcuno, in un «silenzio spaventoso», non protesta quando altri si annettono meriti che sono suoi. Accanto a loro, anche una donna, Marie-Lucie Cornillot, la cui nomina in Commissione scandalizzò alcuni ecclesiastici. È defilata, ma sarà una collaboratrice stretta di Ledeur e una interlocutrice di Régamey (che di lei disse: «È stata
il grande conservatore dei musei di Besançon»). Tra il 1948 e il 1950 si era imposta una discussione a proposito di un progetto di basilica sotterranea scavata nel massiccio della Sainte-Baume, la grotta in Provenza dove si dice che abbia vissuto la Maddalena per trent’anni (culto a cui dedicò ampi studi Victor Saxer). L’idea della basilica sotterranea era stata di Claudel e aveva ripreso quota durante la guerra. Ci lavoravano Couturier, Léger, e uno speculatore immobiliare, Edouard Trouin, che acquistò un terreno sul versante settentrionale della Sainte-Baume, dove c’è l’antichissimo luogo di culto dedicato alla Maddalena del roc du Saint-Pilon. Era dal XIII secolo che si era sviluppato in loco, su iniziativa dei domenicani, un pellegrinaggio penitenziale. Trouin nel 1948 va da Le Corbusier a Parigi e gli sottopone la sua idea. L’architetto informa Couturier. Il domenicano conosce l’impresario e lo trova simpatico al punto da difenderlo anche dalle accuse di truffa di cui è incolpato. Le ostilità verso il progetto sono molte, e alla fine l’assemblea dei Cardinali e dei vescovi francesi condanna il progetto. Questo clima di forti ostilità, rischia di travolgere anche quello per Ronchamp: già nel 1946 si pensava di restaurare la vecchia cappella, che si ergeva sulla collinetta che fin dalVII secolo era luogo di pellegrinaggio alla Vergine. Nel 1949 il curato Henri Besançon affida il compito di valutare un progetto alla Commissione guidata da Mathey. La prima ipotesi, di minima, prevede una ricostruzione delle parti mancanti in uno stile neoclassico. L’architetto incaricato elabora una soluzione dove il campanile finisce col bulbo tipico in quelle zone, ma monsignor Dubourg rifiuta: «Ancora un casco a punta!». L’architetto si dimette. Ed è qui che Mathey fa la sua proposta cogliendo tempestivamente il clima d’impasse: «Ma c’è Le Corbusier!». Che cosa risponde l’arcivescovo al «sogno inconcepibile» di Mathey e Ledeur? «Ebbene, chiedeteglielo!». La leggenda ha varie versioni, un’altra narra che la proposta venne da Ledeur, ma dopo essersi accordato con Mathey, e che Dubourg abbia detto: «Ah, mio Dio, ma è un protestante! Ma, dopotutto, questo gli farà amare la Santa Vergine!». Le Corbusier si fa pregare, inizialmente rifiuta, ma quando vanno una seconda volta a incontrarlo per convincerlo prende tutti in contropiede accettando senza discussioni (poi dirà di aver deciso pensando alla madre, «donna di fede»). Mentre il progetto progredisce, va in visita nello studio di Le Corbusier anche l’arcivescovo Dubourg accompagnato da Mathey e Ledeur. Tipica scena buffa da francesi: Le Corbusier li fa attendere qualche istante e arriva sfoggiando all’occhiello la rosetta di Commendatore della Legion d’onore. L’arcivescovo, che ha solo la rosetta semplice d’ufficiale, si sente a disagio. Le Corbusier gli stringe la mano, gli illustra il progetto, ma quando escono dallo studio il prelato commenta a Ledeur: «Ebbene, mio caro Lucien, non è questa la volta che avrò il mio cappello da cardinale! Sì, egli ha realizzato l’importanza e la posta in gioco e il rischio, e l’ha assunto; ma non si dice di no a un Commendatore della Legion d’onore». Le reazioni alla presentazione definitiva del progetto nella riunione del 1951 a cui partecipa anche Couturier sono di sconcerto. Gli architetti presenti borbottano: «Questa cosa non rassomiglia a niente, rettangoli che sono quadrati, linee dritte che sono curve. È inverosimile ». Il curato Besançon disse di aver accettato «con la morte nell’anima». Il 4 aprile 1954 viene benedetta la prima pietra della cappella, il 25 giugno dell’anno dopo il nuovo arcivescovo, Marcel-Marie Dubois, la consacra e la inaugura. Le Corbusier dice di aver voluto creare un luogo di silenzio, di preghiera, di pace, di gioia interiore. Dubois risponde definendo la cappella «grattacielo di Maria». Dopo il brindisi Le Corbusier «se ne andò discretamente». Tornò a Ronchamp solo un’altra volta, nell’ottobre 1959. Voleva provare la qualità spirituale della sua cappella. Uscendo, disse a chi l’accompagnava: «C’è del sacro, non vi pare?».