Nel 2025 il mondo, a causa dei cambiamenti climatici, sarà sconvolto da scarsità d’acqua o da violente inondazioni con il conseguente aumento delle instabilità regionali. Una profezia catastrofista che non appartiene a scienziati o ambientalisti, ma è tratta dall’ultimo rapporto della Cia sullo stato del globo, che prende atto dell’influenza dei mutamenti del clima sullo scacchiere internazionale. È l’ultima prova dell’influenza crescente dell’ecologia sulla geopolitica e le nuove strategie.Per preservare la pace occorre insomma combattere l’inquinamento così da prevenire desertificazioni e quindi guerre per il cibo, l’acqua, le fonti energetiche e le migrazioni. Perché siamo già in una nuova era in cui analisti, diplomatici e generali stanno ridisegnando le aree di influenza con scenari basati sull’effetto serra. È la tesi che emerge dal lunga indagine compiuta nell’
Arca di Noè (Chiare lettere, pagg 342,) da Grammenos Mastrojeni, dedicato alle nuove connessioni tra pace, guerra, rispetto e salvaguardia del creato. «L’ambiente sta già influenzando la geopolitica – spiega Mastrojeni, diplomatico italiano di carriera e docente universitario – intendo non solo i cambiamenti climatici, ma nel complesso il degrado ambientale. Con il variare dei parametri, sta mutando la localizzazione delle risorse e questo apre contese che in alcuni casi si riescono a contenere entro canali pacifici, in altri si aprono confronti violenti».
Per esempio?«Un confronto pacifico, ma che costa molto al popolo degli Inuit, è quello sull’Artico che si sta sciogliendo liberando le risorse. Ma gli stati interessati iniziano timidamente a mostrare i muscoli. I conflitti violenti riguardano le società fragili e non sono formali. Spesso è lo stress portato dai cambiamenti nelle risorse a causare le crisi. Penso al Darfur, dove si fronteggiano pastori nomadi e agricoltori stanziali, ma anche alle primavere arabe».
Si riferisce alle proteste per il pane del 2008?«Esatto, all’iperinflazione dei prezzi alimentari senza la quale non si sarebbe creato il sostrato sociale per le rivoluzioni di tre anni dopo».
Nell’“Arca di Noè” sono indicate le aree a rischio per sconvolgimenti climatici e ambientali. Quali sono?«Non sono quelle direttamente colpite dal cambiamento climatico, ma quelle dove la società è più fragile. Perché poi il cambiamento si riverbera sul volano politico, economico e diplomatico. Penso all’Africa subsahariana dove il cambiamento climatico promette di colpire in maniera dura e allo stesso tempo le società sono fragili. Per esempio nel Corno d’Africa, come vediamo dagli sbarchi sulle nostre coste».
Anche l’Europa rischia?«L’impatto diretto è inevitabile. Il rischio di desertificazione del Mezzogiorno è concreto, se poi si verificano scenari ipotetici, come il blocco della Corrente del Golfo, ci potrebbe essere una ricaduta di temperature glaciali sulla fascia europea. Sono ipotesi da provare, adesso meno avvalorate. Ma noi avremmo i mezzi per resistere e adattarci, a differenza dei paesi africani. Il vero problema è che non ne abbiamo per fronteggiare l’esodo in fuga dal Sud. L’Italia non deve diventare la serratura dell’Europa, ma il ponte tra due continenti. Ripensiamo allora al senso dell’immigrazione. L’abbiamo vissuta come problema, sta diventando un meccanismo di riequilibrio dei mutamenti climatici e dei conflitti conseguenti. Non consideriamo il migrante una persona da fermare, bensì qualcuno che arriva e può diventare volano di sviluppo».
Il mondo ha preso coscienza dei cambiamenti climatici?«Ha iniziato negli anni 70, nel 2000 la consapevolezza è esplosa. Ci sarebbero i mezzi per imbarcare nella causa il mondo dell’impresa, se si proponesse l’ambiente come occasione di sviluppo. Il problema è la revisione degli stili di vita individuali ai consumatori, chiamati oggi a scegliere la qualità e non la quantità».
I Bric, la Cina per esempio, non sono sensibili allo sviluppo sostenibile.«Atteggiamenti del passato. La Cina sta mettendo in atto politiche più efficaci . L’India invece pensa - dato che è in concorrenza con la Cina - di non potersi permettere cautele socio-ambientali . Il problema è costruire un’economia globale sufficientemente solidale che consenta a tutti di assumersi i costi e rischi della cautela ecologica. Si tratta di dare una virata al modello sociale con una revisione dei valori».
Sul pianeta siamo troppi?«No, ma c’è un problema di giustizia e occorre riequilibrare risorse sufficienti a sfamare 10 miliardi di persone. Gandhi diceva che la natura è sufficientemente generosa per provvedere ai bisogni di tutti, ma non all’avidità di pochi».
Per citare una fortunata metafora del libro,evitare l’estinzione del pinguino aiuta a salvare la pace?«Il sistema Terra ci dice: se non costruite la giustizia, non reggo, se invece lo fate vi colmerò di beni in abbondanza. È il messaggio della Creazione, è tutto già scritto nella Genesi».