domenica 12 febbraio 2017
Nei prossimi sessant’anni, 31 dei 377 comuni della Sardegna forse non esisteranno più. Ma lo spopolamento riguarda un terzo dei centri italiani, soprattutto quelli del Sud e delle aree interne.
Ussassai, Nuoro (Foto: Gianluca Vassallo)

Ussassai, Nuoro (Foto: Gianluca Vassallo)

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Bortigiadas è un paese della Gallura, alle pendici del monte Limbara. Nel 1951 aveva 1.614 abitanti, nel 2015 ne aveva 775. «Lentamente muore», riprendendo i versi di una celebre lirica di Pablo Neruda. Un destino che lo accomuna a Semestene, nella zona di Logudoro-Meilogu, che di abitanti nel 1951 ne aveva 744 e adesso appena 163. E a Esterzili, nella Barbagia di Seulo, dove la popolazione è passata dai 1.641 del 1961 ai 668 del 2015. L’elenco potrebbe continuare a lungo. Il fenomeno è chiaro e noto: si chiama “spopolamento”. Nei prossimi sessant’anni, 31 dei 377 comuni della Sardegna (la terra dei centenari) forse non esisteranno più. Ma i comuni interessati da questa dinamica sono oltre 250. Dovrebbe essere l’argomento politico del giorno. E invece? Chi ha consapevolezza di questo? Che fare? «Bisogna iniziare a mettere insieme “intelligenze”: amministratori, ma non solo. Scienziati, urbanisti, sociologi, antropologi, economisti, pastori, imprenditori, studenti, ragazzi e ragazze. E farne un fatto di popolo. Facile a dirsi? No, in Sardegna non è facile nemmeno a dirlo. Ma serve dirlo. Serve che a dirlo siano sempre più persone. Poi serve la Politica. Non quella delle tattiche. Quella vera. Che trae dalle esperienze le energie per sperimentazioni inedite». Quello di Emiliano Deiana, sindaco di Bortigiadas (e appena eletto alla presidenza dell’Anci Sardegna), non è e non vuole essere un grido disperato o un j’accuse generalizzato, è un richiamo alla «responsabilità di tutti» perché lo spopolamento «non è un fatto ineluttabile».

E a questo – con una fedele fotografia della realtà e un rigoroso studio scientifico – punta Spop (LetteraVentidue, pagine 190, euro 20,00), l’ultima pubblicazione del collettivo di architettura Sardarch, nato nel 2008 con l’obiettivo di essere un polo di discussione intorno all’urbanistica e alle trasformazioni sociali dell’isola, composto da Francesco Cocco, Nicolò Fenu e Matteo Lecis Cocco-Ortu. Spop raccoglie le osservazioni e le visioni dei comuni sardi a rischio estinzione: l’«istantanea» realistica dello spopolamento in Sardegna. Con un approccio alla Karl Popper: «Noi possiamo e dobbiamo analizzare la situazione presente per disporre di una conoscenza che renda possibile il giudizio e suggerisca qualche plausibile linea d’azione, ma senza dimenticare che il futuro è inconoscibile». Non previsioni, dunque, ma al massimo proiezioni, a partire dalla conoscenza dello stato di fatto. In Sardegna e in tutto il Paese. Perché è tutta la penisola della Grande Bellezza a essere in crisi di crescita e con intere fette di territorio a rischio desertificazione. C’è un’Italia, etichettata come “minore”, abitata da oltre 10 milioni di abitanti che sembra abbandonata, costretta (lentamente) a morire. Le ultime calamità naturali che hanno interessato ampie zone dell’Abruzzo, delle Marche, dell’Umbria e del Lazio, testimoniano le immense difficoltà dei centri appenninici a vivere il territorio.


L’ultimo rapporto del Censis denuncia, al di là della solidarietà nell’emergenza, proprio «il progressivo spopolamento di un’area storica per il Paese, che nell’ultimo periodo aveva resistito solo per la sua attrattiva turistica, ma che ora sembra voglia essere abbandonato anche dalle persone e dalle famiglie rimaste». Comuni obbligati a esercizi di finanza creativa pur di andare avanti e le nuove generazioni che di fronte al bivio “restare o partire?” scelgono la seconda via. Lo stesso potremmo dire di tutte le aree montane e di molte zone del Sud. È il riflesso e la conseguenza «dell’organizzazione insediativa policentrica del territorio italiano» – osservano gli autori: in Italia ci sono oltre 5.600 comuni al di sotto dei 5.000 abitanti, pari al 70% dei circa 8.000 comuni italiani; di questi quasi duemila hanno meno di mille abitanti. Circa un quarto della popolazione italiana vive in quelle che possiamo definire “aree interne” che occupano circa il 60% del territorio del Paese, «aree distanti dai centri di offerta di servizi di cittadinanza (di istruzione, salute e mobilità) e caratterizzate da processi di spopolamento e degrado, pur essendo ricche di importanti risorse ambientali e culturali ». Il dossier di Legambiente 2016 parla di «disagio insediativo» per 2430 comuni: quasi un comune su tre sarebbe a rischio.

Come salvarli? In attesa della politica “centrale” (ci sono molte aspettative sul disegno di legge per la valorizzazione dei piccoli comuni e delle aree montane promosso dai deputati Ermete Realacci, presidente della fondazione Symbola, ed Enrico Borghi, sindaco di Vogogna e presidente di Uncem, l’associazione dei comuni montani italiani, approvato lo scorso settembre dalla Camera e poi passato in Senato), la partita si gioca nei territori, con la determinazione e la sfida della qualità, con laboratori e cantieri di cittadinanza attiva, con la rete delle associazioni dei borghi d’Italia, con tutta una serie di azioni che possano trasformare – per usare un’espressione di Antonello Sanna, preside della facoltà di Architettura di Cagliari che firma la prefazione allo studio sostenuto dalla Fondazione Sardegna – «l’irrilevanza di un’anonima periferia dell’impero in una nuova centralità sulla quale vale la pena di investire. La “bassa densità insediativa” trasformata da vincolo in opportunità e risorsa». Rispondere al «pessimismo della ragione» con «l’otti-mismo della volontà». Spop passa in rassegna i 31 comuni sardi presi in esame, con schede, analisi delle condizioni geografiche e territoriali, e non senza evidenziare le esperienze positive e le potenzialità di ogni realtà.

Un «atlante» con testi, grafici e fotografie per raccontare il fenomeno e accendere la speranza. Le immagini aiutano molto il “viaggiatore” di questi paesi che non vogliono diventare fantasma. C’è lo sguardo più urbanistico di Stefano Ferrando e il viaggio nelle “città invisibili” con le persone, quelle che scompariranno insieme ai paesi, di Gianluca Vassallo, figlio di un bottegaio emigrato da Napoli a San Teodoro. E da napoletano che si sente sardo (ma che «la Sardegna non ha mai pienamente considerato tale») ha «attraversato dieci comunità stanziali in dieci giorni, cercando di farne parte, ricevendo in cambio la sola certezza che ogni comunità è temporanea, qualunque cosa racconti a sé stessa». Vassallo ritrae i volti di una Sardegna viva, le foto poi riprodotte in grande scala sui muri dei paesi e ri-fotografate in quel contesto. Volti che animano borghi destinati a sparire, o forse no. Volti di una «città invisibile » che può lentamente prendere forma e vita in un divenire senza tempo

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