Massimo RojStiamo parlando di città europea: ma altrove? «Come prospettiva l’idea generale è la stessa ovunque, anche se le condizioni attuali variano da luogo a luogo. In Cina ora programmano l’espansione urbana. Hanno il vantaggio di costruire aree urbane completamente nuove, il che consente di privilegiare gli spazi pubblici. Per esempio a Chongquing sul fiume Yangtze, una delle maggiori metropoli al mondo, ove sono confluiti gli abitanti allontanati dall’area invasa dall’acqua della diga delle Tre gole, hanno realizzato diversi parchi. Ve n’è anche uno esterno alla città, grandissimo. Altrove la programmazione sinora è mancata. Giacarta per esempio ha circa 10 milioni di abitanti: è cresciuta senza progetti, non vi sono connessioni interne, il sistema stradale non è stato studiato e vi sono arterie lunghissime e difficilissime da attraversare, come fossero fiumi privi di ponti. Per superarle bisogna imboccarle e procedere per chilometri sinché non si trova il modo di compiere un’inversione a “U”. Non vi sono marciapiedi e i grattacieli sono cresciuti accanto alle bidonville. Ora noi siamo chiamati a por- tare la nostra esperienza, e un poco della nostra tradizione, per collaborare nel definire modi adeguati per concepire una città nuova, che sia a misura d’uomo: è quanto stiamo facendo sull’isola di Sulawesi, col nuovo centro urbano che dovrà ospitare tra due e tre milioni di abitanti. Per inciso, una città piccola per le dimensioni usuali in quei paesi».
La skyline di GiacartaLe nostre tradizioni urbane si adattano anche a quelle asiatiche? «Dove la crescita è stata imponente e rapida, come in Cina, molto spesso ha travolto la loro tradizione, sono state cancellate le aree storiche e si è perso un importante patrimonio. Oggi agli architetti stranieri in Asia chiedono di contemperare la cultura locale con l’impulso alla globalizzazione, e in vario modo cercano politiche adeguate. Per esempio in Cina stanno frenando la vendita di automobili: a chi desidera acquistarne assegnano targhe tramite estrazione a sorte e in numero limitato. Chi non ha una targa non può prendere un’auto. Anche a Saigon in Vietnam l’inquinamento dovuto ai trasporti è allarmante e il governo sa ricorrendo a misure di contenimento».
Il progetto dello studio Cmr per la città cinese di ChongqinQuali le soluzioni prospetta per le città nel XXI secolo? «Sono convinto sia importante recuperare il piccolo commercio di quartiere: lo chiamo “de-malling”, ovvero ridurre i grandi centri commerciali. È quanto cerco di compiere nei miei progetti urbanistici. Per Xixian in Cina ho progettato una vasta area di torri entro un contesto verde attraversato da vie ciclopedonali che scavalcano le strade carrabili. Anche a Huludao ho sviluppato un progetto bastato su spiazzi e coperture verdi, con percorsi e ponti pedonali; simile approccio ho seguito nel progetto elaborato per Chongquing. Recentemente il nostro progetto per il Parco di Zhenjiang per l’innovazione agricola è stato premiato dall’Associazione degli Architetti cinesi: anche questo è fondato sull’integrazione tra diverse funzioni. Anni addietro fui chiamato a compiere un piano urbanistico per Villasanta, vicino a Monza, e lo elaborai proprio nell’integrazione delle funzioni, attorno alle piazze e alle botteghe di quartiere. Con lo stesso approccio a Lentini, in Sicilia, ho progettato il recupero del paese storico. Ma in Italia la burocrazia frena tutto. Dovremmo imparare a realizzare progetti con rapidità ed efficienza, come fanno in Cina: come loro d’altro canto stanno imparando da noi a rispettare la tradizione storica del luogo».