Brian Madeux nell’ospedale californiano di Oakland con la fidanzata Marcie Humphrey (Ansa)
Sapremo fra tre mesi se una nuova tecnica di terapia genica provata per la prima volta su una persona malata è efficace, ma le notizie che circolano sanno di prudente ottimismo. È accaduto negli Stati Uniti – a Oakland, in California – e si tratta, in sintesi, ancora di una procedura di gene editing, cioè della correzione microscopica del Dna. Ora però le forbici molecolari per il "taglia e cuci" non sono quelle dell’ormai famosa – e impronunciabile – Crispr-Cas9: stavolta rimandano infatti a un’espressione quasi altrettanto oscura, «nucleasi delle dita di zinco», che corrisponde a un sistema molecolare differente ma che adempie allo stesso scopo, e cioè modificare una regione del genoma responsabile di una patologia incurabile, agendo come un "bisturi molecolare".
Si tratta cioè di un tentativo di terapia genica, condotto per la prima volta – e questa è la novità – direttamente all’interno del corpo del paziente e non, come accaduto finora, in laboratorio, dove le cellule venivano prima modificate geneticamente in vitro e successivamente iniettate nei malati. In questo caso, cioè, gli elementi e le istruzioni per formare il "bisturi molecolare" vengono iniettati nel paziente. Ed è all’interno delle cellule del suo corpo che si formano le "dita di zinco" in grado di tagliare il Dna nel punto giusto, consentendo al nuovo gene di inserirsi. È come se gli scienziati avessero inserito nel corpo del paziente le componenti di un mini-robot chirurgo, insieme alle istruzioni per l’assemblaggio da parte dalle cellule e l’intervento poi sul loro Dna.
Il caso di cui si è data notizia ieri è quello di un americano di 44 anni affetto da una malattia metabolica rara (la Sindrome di Hunter, meno di 10mila pazienti in tutto il mondo). A Brian Madeux, il paziente sottoposto all’esperimento, manca un enzima necessario per metabolizzare alcuni carboidrati, che quindi si accumulano nelle cellule causando danni all’intero organismo, e spesso portando a una morte precoce. Madeux finora si è dovuto sottoporre a 26 interventi chirurgici e a infusioni settimanali dell’enzima mancante, con costi esorbitanti (si parla di cifre dai 100mila ai 400mila dollari l’anno). Se l’esperimento si dimostrerà efficace, il Dna di Madeux sarà corretto in modo permanente, e consentirà la produzione dell’enzima necessario.
Va chiarito che questo tipo di modifica non è ereditario ma riguarda solo la persona su cui si è intervenuti: si tratta di interventi su persone già nate, e che dunque hanno già sviluppato malattie incurabili. Pur essendo un esperimento approvato secondo le procedure previste dal sistema sanitario americano, e che quindi sicuramente ha dato ottimi risultati nei precedenti esperimenti in laboratorio e sugli animali, sussistono ancora margini di rischio importanti, proprio per il fatto che le modifiche genomiche introdotte sono permanenti: non c’è modo di tornare indietro, cioè, non solo nella mutazione voluta ma anche nelle eventuali modifiche involontarie che possono verificarsi in modo imprevedibile. Ed è questo l’aspetto più rischioso che, tra l’altro, non consente di trasferire questa stessa tecnica agli embrioni umani: nessuno a oggi è in grado di prevedere cosa accadrebbe a un embrione geneticamente modificato con la stessa procedura.
Il problema va oltre il particolare tipo di "bisturi molecolare" utilizzato, ed è stato esaminato anche dal nostro Comitato nazionale per la bioetica in un parere del 23 febbraio – «L’editing genetico e la tecnica Crispr-Cas9: considerazioni etiche» – che ha affrontato il tema anche da un punto di vista più generale. E’ infatti evidente che una manipolazione genetica in un organismo agli inizi del suo sviluppo, come un embrione umano, è un intervento radicalmente differente dalla stessa procedura effettuata su un organismo già sviluppato, come una persona adulta, in particolare, ma non solo, rispetto alle modifiche non volute: un embrione umano di due o tre giorni ha davanti a sé un lungo processo di crescita e sviluppo, di enorme complessità, incomparabilmente superiori a quanto avviene all’interno di un organismo già completamente sviluppato. Possiamo solo lontanamente immaginare cosa significhi questo in termini di conseguenze per la persona che potrebbe nascere da un embrione a cui è stato modificato il Dna nei primissimi giorni di esistenza.
Intanto, nell’attesa di conoscere gli esiti dell’intervento pionieristico, Brian Madeux spera, per sé e per gli altri nelle sue condizioni "Voglio assumermi questo rischio. Spero che aiuterà me e altre persone", ha detto, e noi speriamo con lui.