domenica 6 aprile 2025
Vissuta tra 1955 e 1974, minata da un male incurabile spese la sua esistenza per i più fragili. Terziaria francescana, venerabile nel 2023, le è intitolato il primo Centro aiuto alla vita italiano
Il varo della "Maria Cristina Ogier" a Livorno. Maria Cristina si impegnò a raccogliere i fondi necessari per la barca, destinata all'Amazzonia

Il varo della "Maria Cristina Ogier" a Livorno. Maria Cristina si impegnò a raccogliere i fondi necessari per la barca, destinata all'Amazzonia

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«Vivo sognando il Paradiso», scriveva nel suo diario Maria Cristina Ogier, giovane fiorentina vissuta tra il 1955 e il 1974. Erano la consapevolezza del poco tempo a disposizione e la costante comunione con Dio a renderla tutta protesa verso gli altri, determinata a non voler sprecare neanche un minuto di vita. Una testimonianza quella di questa donna, dichiarata venerabile da papa Francesco nel 2023, che fa ben comprendere come la malattia possa essere vissuta nel segno della speranza, secondo il messaggio che arriva anche dal Giubileo degli ammalati e del mondo della sanità che si è celebrato il 5 e 6 aprile a Roma.

A quattro anni un tumore al cervello, all’epoca non asportabile, aveva fatto comparire i primi sintomi e fatto presagire ai medici una breve aspettativa di vita, che poi nei fatti si allungherà un po’, facendola arrivare fino ai 19 anni. Ma fu il modo in cui questo tempo venne vissuto a fare la differenza per molti, lontani e vicini, e a valerle il riconoscimento della venerabilità. Anticipata la prima comunione ai 6 anni, per paura di ulteriori peggioramenti di salute, chiese come unico regalo un viaggio a Lourdes. Dall’anno dopo sarebbe diventata la mascotte della sottosezione fiorentina dell’Unitalsi, spendendosi senza posa anche quando, col passare degli anni, la malattia le ridusse la mobilità di un braccio e di una gamba.

Nascono in questo ambiente alcune tra le più belle amicizie con gli altri ammalati. La sua energia li spronava a vivere pienamente e a riacquistare fiducia, mentre in lei si faceva spazio l’idea di costruire una casa bella come la sua per gli amici che vivevano negli ospizi. Tessere reti di solidarietà era per lei, in effetti, cosa facile. Venuta in contatto con il missionario cappuccino padre Pio Conti, si adoperò per realizzare un battello adibito ad ospedale da inviare sul Rio delle Amazzoni, dove l’unica via di comunicazione era quella fluviale e le persone morivano prima di riuscire a ricevere aiuti. Lo slancio missionario aveva allargato i suoi orizzonti, permettendole di prendersi cura dei malati e degli anziani di Firenze con i gruppi parrocchiali e l’Unitalsi e di quelli più lontani nelle missioni, spingendola a coltivare un «amore», che «non deve avere confini », scriveva.

Da lì a voler diventare terziaria francescana il passo fu breve, decisa a spogliarsi di tutto, compresa la propria salute, per la quale spiegava a chi glielo chiedeva di non riuscire a pregare. Un mese dopo la vestizione, abituata ormai a chiamare la morte «benevola amica», «che mi ricongiungerà al mio Dio», lasciò questa terra. Fu allora che uno slancio di solidarietà da parte dei tanti che aveva raggiunto permise di creare a Firenze tre case famiglie per persone con disabilità, mentre in Brasile, Bolivia, Bielorussia e Africa iniziarono a sorgere in suo nome due scuole, un orfanotrofio e un ospedale.

Il suo nome oggi vive anche nel Centro aiuto alla Vita che le è intitolato - il primo in Italia - e che fu fondato a Firenze da Carlo Casini esattamente 50 anni fa, nel 1975, anche su ispirazione della grande sensibilità della giovane per la vita umana nascente, e grazie alla frequentazione di Casini con il padre di Maria Cristina, Enrico, ginecologo assai famoso a Firenze, primario all'Ospedale di Careggi.

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