La Cassazione strappa, sconfessa se stessa e riapre il dibattito – umano e giuridico – sulla possibilità per due uomini di essere riconosciuti entrambi, dall’Italia padri di un bimbo. Lo ha fatto con un’ordinanza depositata ieri, in cui ha devoluto la questione alla Corte Costituzionale. Ovviamente, i due uomini non possono essere entrambi genitori secondo natura. E infatti, anche in questo caso, uno di loro è assolutamente estraneo alla fecondazione dell’ovulo: semplicemente, è parte del contratto di maternità surrogata, attraverso il quale ha scelto con il compagno la donna che avrebbe fornito gli ovociti, e allo stesso modo – sostanzialmente su un catalogo – quella in cui sarebbe stato impiantato per la gravidanza l’embrione ottenuto in provetta. Questa pratica, in Italia, è vietata dalla legge 40 del 2004, che molti connazionali cercano di eludere attraverso l’espatrio temporaneo. Così, per lo Stato che fornisce loro questo “servizio” sono entrambi genitori, mentre nel Belpaese…forse. In effetti, dopo una serie di pronunce contrastanti, la stessa Cassazione sembrava aver posto un punto fermo sulla questione lo scorso maggio: con una sentenza pronunciata a Sezioni unite, e cioè in quella composizione plenaria le cui decisioni sono destinate a formare un precedente difficilmente sovvertibile, aveva stabilito che i componenti di una coppia dello stesso sesso non possono essere riconosciuti in Italia quali genitori di un bimbo. La pronuncia di ieri, invece, riapre la questione devolvendola alla Corte Costituzionale. Ed ecco la questione giuridica: quando una coppia ricorre alla maternità surrogata in un Paese che la consente, l’atto di nascita del bimbo menziona come genitori i due contraenti (cioè coloro che hanno sottoscritto il contratto di surrogazione). Perché però questa filiazione sia riconosciuta anche in Italia, serve la cosiddetta “trascrizione” dell’atto presso l’anagrafe del Comune di residenza. Una sorta di riconoscimento formale, insomma, imposto dal diritto internazionale con un breve elenco di eccezioni: tra queste, la contrarietà del documento rispetto all’ordine pubblico. Vale a dire ai principi fondamentali su cui si regge uno Stato. Da qui la domanda: è tale la maternità surrogata? Sì, secondo la Cassazione, che già nel 2014 aveva spiegato come in gioco, in questi casi, ci fossero il supremo interesse del minore e la dignità della donna. Anzi, delle donne: di quella pagata per portare a termine la gravidanza, così come di quella che fornisce gli ovociti dietro un formale rimborso spese, ma che il più delle volte dissimula un vero e proprio compenso. Anche recentemente, con una sentenza dello scorso aprile, la Suprema Corte aveva ribadito il principio per cui due persone dello stesso sesso – donne, in questo caso, che si erano servite della fecondazione eterologa, all’estero – non possono essere riconosciute dall’Italia come entrambe madri. Ieri, però, il colpo di scena: tutto ciò premesso, la Cassazione ha aderito al dubbio di legittimità costituzionale di questo impianto sollevato dai ricorrenti, a loro avviso incarnato dalle norme che “non consentono secondo l’interpretazione attuale del diritto vivente, che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all’inserimento nell’atto di stato civile di un minore procreato con le modalità della gestazione per altri del cosiddetto genitore d’intenzione non biologico”. Da qui, il rinvio alla Consulta per una parola definitiva. Un’altra ancora, dopo quella che la Cassazione aveva promesso come tale nel maggio dell’anno scorso.
Contraddicendo la sua sentenza a sezioni unite del 2019 e il recente pronunciamento contro l'ipotesi giuridica delle due mamme per lo stesso figlio, la Suprema Corte invoca il giudizio della Consulta.
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