
Il cooperante Alberto Trentini - Ansa
Quasi 9mila chilometri in linea d’aria, con un oceano di mezzo, separano Alberto Trentini dal Lido Venezia e dall’abbraccio della mamma Armanda Colluso. È così da cinque mesi. Al carcere del corpo si aggiunge la prigionia delle parole: nessuna lettera, nessuna chiamata. Né da Trentini, né per Trentini. È una condanna fatta di “tempo e silenzio”, come recita il famoso brano di Cesária Évora. «Cinque mesi in cui il tempo si è fermato per chi gli vuole bene», si legge sulla pagina Facebook “Alberto Trentini Libero”, dove si chiede «ad alta voce» che «si faccia qualcosa di decisivo per Alberto e al più presto». Una rassicurazione, nei giorni scorsi, è arrivata dalla premier Giorgia Meloni, che ha telefonato alla mamma di Trentini assicurando che il governo «è al lavoro per riportarlo a casa».
Questo non vuol dire che il boarding pass per Alberto sia già pronto, ma ci sono segnali che fanno ben sperare. Ad esempio, il numero dei prigionieri politici è vertiginosamente calato: da quasi 2mila raggiunti dopo le presidenziali di luglio a meno di novecento. Tra le ragioni vi è l'imminente arrivo della Pasqua – importante in un Paese di maggioranza cattolica – e l’urgenza di Caracas di uscire dall'isolamento internazionale. Soprattutto dopo la revoca delle concessioni alle petrolifere Chevron, Eni, Reliance, Repsol da parte degli Usa, che ha messo in ginocchio il Paese. Caracas ci prova anche sul versante elettorale, con la mega-elezione del 25 maggio - con le regioni e il Parlamento in palio - ma con un indice di astensione proiettato al 60%. In Italia, il digiuno a staffetta ha raggiunto il suo 43° giorno con 1.700 partecipanti e la raccolta firme su change.org ha quasi raggiunto le 100mila firme.