La festa a Parigi l'8 marzo con il presidente Macron per l'introduzione dell'aborto nella Costituzione - -
All’origine della disperazione che ci circonda e ci aggredisce: esattamente qui ci porta la recente riforma francese che – primo caso al mondo – ha inserito nella Costituzione il diritto di aborto. Uno spartiacque radicale, che introduce una “liberté”, che condanna tanto la “égalité” quanto la “fraternité”.
Per comprendere la sfida, che impone a ciascuno di noi una scelta esistenziale, domandiamoci quale differenza vi sia fra la situazione già ben nota della legislazione sull’aborto e questa riforma. La sentenza della Corte costituzionale italiana n. 27/1975 ammetteva «la tutela del concepito la cui situazione giuridica si colloca, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, tra i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti e garantiti dall’art. 2 Cost. denominando tale diritto come diritto alla vita, oggetto di specifica salvaguardia costituzionale» (cfr. n. 35/97). Semmai, il problema posto dalla stessa sentenza 27/75, che aprì la (sbagliata) strada alla legalizzazione dell’aborto di cui alla legge 194/78, era rappresentata dal paventare una sorta di “stato di necessità”, da accertarsi seriamente e medicalmente, nel caso di un grave rischio per la vita e la salute della madre, caso in cui «il bilanciamento tra i diritti fondamentali, quando siano entrambi esposti al pericolo», veniva individuato «nella salvaguardia della vita e della salute della madre, dovendosi peraltro operare in modo che sia salvata, quando ciò sia possibile, la vita del feto».
Dunque, non si dubita(va) che dal concepimento vi sia l’abbrivio di una esistenza, la quale genera un rapporto (almeno) con il “tu” della madre. In qualche modo, persino nel drammatico crinale introdotto dalla grave legge sull’aborto, non veniva del tutto meno la teorica necessità che la vita del concepito dovesse essere tutelata, dunque non ammettendo che fosse nella mera disponbilità di un altro soggetto.
Qui avviene il salto ideologico con quanto successo qualche giorno fa. In Francia si è scelto di non riconoscere il concepito come “vita”, ma come “cosa”. Ciò avviene come ineludibile esigenza di una opzione antropologica affermata e pretesa: l’uomo avrebbe valore solo se non incontra limiti alla propria “autodeterminazione”, se, come un novello Prometeo, “ruba il fuoco agli dèi” e si fa padrone assoluto del reale, negando l’altro da sé. Così la “libertà” concepita come mera “autodeterminazione” reifica, per possederlo, il proprio simile, negandogli il diritto all’esistenza. Scompaiono, dunque, sia l’“uguaglianza” che la “fraternità” e dilaga, questa volta, l’“involuzione” (umana) francese.
Il nuovo Prometeo ha, infatti, alcuni ostacoli da abbattere, principalmente. Uno di questi è la vita nascente e la maternità che mostra con scoperta evidenza che l’esistenza nel suo inizio, nel suo apparire, è determinata da una dinamica di gratuità. L’abbrivio della vita è, cioè, oggettivamente un avvenimento. E constatare e riconoscere che l’incipit dell’esistenza è un “dato” impone di riconoscere che l’essere umano, vivendo, dipende. Uno sguardo verso altro da sé consente la vita dell’uomo, che non ha la capacità di decidere di sussistere nemmeno per un solo istante. Così «strutturalmente l‘uomo attende, strutturalmente è mendicante: strutturalmente la vita è promessa» (Luigi Giussani). Come nella lirica di Clemente Rebora: «Qualunque cosa tu dica o faccia, c’è un grido dentro: non è per questo, non è per questo!». E solo questo «mistero dà fuoco e tensione a ogni nostra parola, urgenza a ogni nostro problema» (Thomas Mann).
La maternità, allora, (come la caducità e la morte) contesta il nuovo individualismo imperante e deve essere negata al massimo livello, cioè a livello costituzionale. Si impone a tutti, con ciò, di credere nel nuovo Prometeo e di non credere che l’uomo sia stupore verso la vita, tensione verso l’altro da sé. Così, per costituzione, si vuole appiattire la promessa e la speranza che danno fuoco alla vita, imponendo una nuova disperazione di Stato.
Nessuno, tuttavia, può impedire che ciascuno di noi giudichi se sia ragionevole, umano e (forse persino) possibile tacitare questo “fuoco”. Così, proprio il venire allo scoperto di una prepotenza ideologica portata – proprio come è la Costituzione in una società – verso tutti chiama ciascuno di noi a vivere il nostro tempo riaprendo con tutti un dialogo e una sfida al fondo del nostro essere. Di qui si può partire per riallacciare i fili di un dialogo che su vita, libertà e diritto appare oggi indispensabile.
* Giurista ed ex deputato
Membro del Comitato nazionale per la Bioetica
Portavoce network associativo “Ditelo sui tetti”
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