Maria Rescigno - .
Hanno gettato le basi sulle quali è stata costruita la fortezza per difendersi dagli effetti più gravi del Covid-19. L’ungherese Katalin Karikó e l’americano Drew Weissman sono i vincitori premio Nobel per la medicina 2023 grazie agli studi sull’interazione dell’Rna messaggero con il sistema immunitario. Una scoperta che ha aperto varie strade per la scienza. Una di queste è stata la possibilità durante l’inizio della pandemia di sviluppare in poco tempo un vaccino anti Covid-19, proprio sfruttando il meccanismo dell’Rna messaggero (mRna). Ma sono molte altre le vie che la ricerca persegue basate sulla scoperta dei due premiati con il Nobel. Contro i tumori, per esempio, da anni si sta lavorando a un vaccino terapeutico che sfrutta la molecola per indurre una risposta immunitaria contro il melanoma e una forma di cancro del pancreas. E sono poi allo studio anche altre terapie a mRna contro la malaria e la tubercolosi. Lo scopo dei ricercatori è dare alle cellule immunitarie nuove istruzioni per attaccare i nemici dell’organismo, utilizzando come mezzo l'Rna messaggero. Per Maria Rescigno, ordinario di Patologia generale, pro-rettore vicario dell’Humanitas University e group leader dell’unità di Immunologia delle mucose e microbiota dell’Humanitas research hospital, l’assegnazione a Karikó e Weissman era attesa.
L'équipe di ricerca di Maria Rescigno (al centro) - .
La scoperta dei due Nobel ha spalancato nuovi
mondi per la scienza...
Contro i tumori quali sviluppi possiamo attendere dalla tecnologia a base mRna?
È possibile sviluppare contro gli antigeni associati ai tumori dei vaccini più generali, cioè adatti a trattare più persone che hanno in comune gli stessi antigeni. Oppure, grazie alla versatilità e velocità di generazione, è possibile creare dei vaccini personalizzati, diretti alle proteine mutate di un singolo paziente. Il vaccino di questo tipo quindi é difficile che possa essere diffuso su larga scala o per un numero elevato di persone ma sarà sviluppato principalmente in centri specializzati anche nei prossimi anni.
Nel suo ambito di ricerca invece vi state focalizzando su un vaccino antitumorale differente che ha lo scopo di colpire i punti deboli mostrati dalle cellule tumorali.
Stiamo cercando di fare un vaccino universale che vada a bersagliare una caratteristica delle cellule tumorali. Avendo così tante mutazioni, infatti, queste cellule risultano stressate e fanno fatica a conviverci. Abbiamo identificato una sorta di “bandierine” dello stress, per cui stiamo studiando un vaccino. Il punto è che le bandierine sono diverse per ogni tipo di tumore. Il nostro lavoro, sostenuto da Fondazione Airc per la ricerca sul cancro grazie ai fondi raccolti con il 5 per mille, ha l’obiettivo di identificarle per sviluppare vaccini, sfruttando con un approccio nuovo le caratteristiche della cellula tumorale. Si tratta di un progetto grande che ha al suo interno otto unità operative proprio perché non era così semplice identificare le bandierine e formulare il vaccino. Inoltre vogliamo portare i nostri risultati nella clinica, per osservare gli effetti del vaccino e il meccanismo d’azione. Il progetto durerà ancora quattro anni ma prevediamo nel 2024 di produrre già un primo protocollo clinico.
Un’altra area della sua ricerca è focalizzata sul ruolo del microbiota nel trattamento dei tumori. Ci sono sviluppi?
Studiamo il microbiota sia nei meccanismi di inizio e progressione della malattia sia come possibile agente terapeutico. Abbiamo scoperto che potevamo sfruttare a nostro vantaggio lo stress delle cellule tumorali, proprio valutando gli effetti provocati da un batterio. Ciò ci ha permesso di amplificare il fenomeno e di poterlo osservare. Oggi il trapianto del microbiota è già in uso per alcune malattie e al momento si sta sperimentando la possibilità di usarlo anche nella terapia antitumorale perché esistono profili del microbiota che agendo sul sistema immunitario aumentano l’efficacia dell’immunoterapia.