Sempre meno aborti, sempre più con la pillola abortiva. Questo dicono, in estrema sintesi, i dati diffusi dal Ministero della Salute nella Relazione annuale al Parlamento sull’attuazione della legge 194, depositata ieri. Il calo delle interruzioni di gravidanza prosegue ininterrottamente dal 2004, quando si contarono 137mila aborti: da allora la curva che aveva toccato il picco nel 1983 con 231mila interruzioni ha preso un andamento sempre discendente che l’ha portata nel 2021 – anno che fotografa la Relazione – al minimo storico di 63.653, in calo del 4,2% sul 2020 (ma parliamo sempre della popolazione di un Comune di medie dimensioni, come Cosenza, sparito in un anno). «Il fenomeno – spiega il ministro della Salute Orazio Schillaci nelle conclusioni – è spiegabile presumibilmente sia con il parallelo calo delle nascite che con il maggiore e più efficace ricorso a metodi per la procreazione consapevole, alternativi all’aborto, secondo gli auspici della legge 194/1978, che con la maggiore diffusione della contraccezione di emergenza».
È forse quest’ultimo il fattore che ha impresso la spinta più vigorosa al ribasso, insieme all’inverno demografico che sta assottigliando di anno in anno le “classi” di donne che entrano in età fertile, con un crescente deficit di potenziali mamme. Meno nascite, meno aborti. Ma anche più contraccettivi: la decisione con cui l’Aifa esattamente tre anni fa ha eliminato l’obbligo di prescrizione per ellaOne – la pillola “dei cinque giorni dopo” – anche per le minorenni ha accelerato la diffusione di questa pratica: «Dal 2020 al 2021 – riferisce il ministro – la distribuzione della contraccezione di emergenza è aumentata del 25%» mentre si registra un leggero calo per Norlevo, la pillola “del giorno dopo”, soppiantata dal prodotto che può essere assunto fino a 120 ore dopo il rapporto potenzialmente fecondo.
Il Ministero però sa bene che l’ulipristal acetato, principio attivo di ellaOne, non può essere assunto alla leggera, sebbene ormai sia un prodotto da banco il cui consumo è dunque impossibile da mappare. E invita alla cautela: «La mancanza di tracciabilità delle vendite – spiega Schillaci – non consente di distinguere l’utilizzo della contraccezione di emergenza nelle diverse fasce di età, e neppure l’eventuale uso ripetuto all’interno di tali fasce». Conclusione ovvia: «Per tali farmaci è indispensabile una corretta informazione per evitare un uso inappropriato». Vigente la determina Aifa, è un invito doveroso e responsabile ma che suona paradossale: allora perché è stata tolto l’obbligo di ricetta per un farmaco che può anche interrompere agli inizi una incipiente gravidanza?
Ma il dato forse più significativo della Relazione è l’impennata del ricorso all’aborto farmacologico, arrivato al picco del 45,3% del totale (contro il 50,7 degli aborti chirurgici). Impressionante la progressione delle interruzioni di gravidanza con Ru486: erano il 3,3% nel 2010, sono salite al 24,9 nel 20219 e al 31,9 l’anno dopo. Ma il +13,4% del 2021 fa capire che l’aborto va privatizzandosi, con la donna lasciata sola con un’esperienza drammatica. E se la ripetizione degli aborti è in continuo calo (è al 24% dei casi), aumenta il numero di interventi precoci: il 61,7% entro le 8 settimane, il 21,7 a 9-10 settimane, il 9,9 a 11-12 e il 6,7 dopo la dodicesima settimana. Importante il dato sui non obiettori, in crescita al 36,6% (erano il 35,4 un anno prima). Con gli aborti in calo, significa che «l’analisi dei carichi di lavoro per ciascun ginecologo non obiettore – annota il ministro – non sembra evidenziare particolari criticità nei servi di di Ivg». In altre parole: l’obiezione non è un problema.