Meloni con il ministro dell'Interno Piantedosi - ANSA
Giorgia Meloni e Matteo Piantedosi hanno una sola linea: i centri per i migranti in Albania sono pronti e presto, anzi prestissimo, verranno riattivati. E questo anche in virtù della sentenza della Cassazione del 19 dicembre. Insomma Albania atto due. La premier continua a essere netta: «I centri funzioneranno, dovessi passarci ogni notte da qui alla fine del governo italiano». Il ministro dell'Interno la segue: «I centri sono pronti e saranno molto utili per velocizzare le procedure di riconoscimento della protezione a chi ne ha diritto, ma soprattutto del rimpatrio di chi non ne ha diritto». Obiettivo è, dopo la "falsa partenza", ripartire già a gennaio e riprendere così i trasferimenti dei migranti verso l'Albania. Meloni si è mossa anche da Saariselka, nella Lapponia finlandese, e oggi andrà in scena una «riunione sul tema per capire come procedere». A Palazzo Chigi ci saranno anche il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani (in collegamento dal Kosovo), il sottosegretario Alfredo Mantovano, i ministri di Interno, Difesa ed Affari europei, Matteo Piantedosi, Guido Crosetto e Tommaso Foti. Piantedosi farà il punto sugli arrivi via mare, quest'anno in netto calo: 65mila contro i 153mila del 2023. La storia è nota. I giudici hanno finora bocciato i trattenimenti nei centri albanesi dei richiedenti asilo. Per superare l'ostacolo il governo - con un emendamento inserito nel decreto flussi - ha trasferito la competenza delle decisioni sui trattenimenti dai magistrati delle sezioni immigrazione alle Corti d'appello. Con la speranza di avere decisioni favorevoli. La misura diventa operativa 30 giorni dopo l'entrata in vigore della legge, cioè il prossimo 11 gennaio. Da quel momento, dunque - è la linea che potrebbe emergere dalla riunione di oggi - la Libra potrà tornare a portare migranti verso il porto di Shengjin.
Nel frattempo, lo scorso 19 dicembre c'è stata una sentenza della Cassazione che il centrodestra ha interpretato come di sostegno alla sua posizione. La pronuncia - su un caso che precede il decreto con cui il governo ha ridefinito la lista dei Paesi sicuri - riconosce alla politica il diritto di stabilire un regime differenziato delle domande di asilo per chi proviene da Paesi designati come sicuri. E dunque il giudice «non può sostituirsi» al ministro degli Esteri, né «può annullare con effetti erga omnes il decreto ministeriale». Il magistrato può tuttavia valutare se la designazione è legittima ed eventualmente disapplicare «in via incidentale» il decreto sui Paesi sicuri. E se l'opposizione ha cantato vittoria sottolineando quest'ultimo aspetto, differente l'interpretazione della maggioranza. «Mi pare - ha detto Meloni - che la Cassazione abbia dato ragione al governo, è diritto dei governi stabilire quali siano i Paesi sicuri», mentre i giudici possono «entrare nel singolo caso, non disapplicare in toto». Bisogna, ha aggiunto, «pensare fuori dagli schemi: l'Italia è stata la prima a fare un accordo con un Paese extra Ue, stiamo avendo qualche problema nell'interpretazione delle regole ma lo stiamo superando, è un nuovo modo di affrontare questo problema».
L'idea sembra essere dunque quella di riprendere i trasferimenti in Albania senza attendere ulteriori decisioni. La Cassazione, infatti, deve ancora pronunciarsi sui ricorsi presentati dal governo contro le prime mancate convalide del trattenimento di migranti emesse dalla sezione immigrazione del tribunale di Roma il 18 ottobre scorso. Nell'udienza del 4 dicembre il pg, in tema di definizione di Paesi sicuri, ha chiesto ai supremi giudici di sospendere il giudizio in attesa che a marzo si pronunci la Corte di Giustizia dell'Ue. Intanto, il governo cerca di allargare il consenso in Europa sulle nuove regole per rimpatri e Paesi sicuri ed anticipare i tempi. Un quadro di norme europee diverse da quelle attuali, specchio dei mutati equilibri politici - è la convinzione nell'esecutivo - avrebbe un effetto anche sulle decisioni dei giudici italiani rendendo praticabile il progetto Albania. La presidente Ursula von der Leyen ha assicurato che la commissione Ue vuole procedere spedita sulla nuova direttiva rimpatri, la revisione della definizione di Paese sicuro ed il possibile utilizzo di hub per i rimpatri in Paesi terzi. Nelle ultime ore è tornato a parlare anche Piantedosi. Spiegando a chi critica i costi dell'operazione che lo «stanziamento di 650 milioni in 5 anni è una previsione di legge del costo massimo possibile con le strutture a regime, non è detto che corrisponderà alla spesa reale». Poi una parentesi sulla sentenza di assoluzione del ministro Salvini nel processo Open Arms. Per Piantedosi non «avrà nessuna influenza» sulla linea del governo. E su un possibile avvicendamento al Viminale? Meloni nemmeno vuole valutare tale ipotesi. Un Salvini due al Viminale la obbligherebbe a ridefinire gli equilibri nella coalizione e la Meloni non ha nessuna intenzione di farlo.