mercoledì 4 dicembre 2013
Riconosciuta la validità delle nozze contratte all’estero da un dipendente. L’esperta: incomprensibile (di Caterina Dall'Olio)
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Si è sposato all’estero con il suo compagno. Poi è tornato in Italia, all’Università di Bologna dove lavora, e ha chiesto il congedo matrimoniale, quelle due settimane regolarmente retribuite che spettano ai coniugi che vanno in viaggio di nozze. Non le ferie, come fino a oggi era d’abitudine. E, l’estate scorsa, l’Ateneo ha detto sì, senza colpo ferire. Non è la prima volta che succede all’Alma mater studiorum, ma la terza: l’anno scorso ha beneficiato di questo diritto un’altra coppia omosessuale. Qualche anno fa, invece, il congedo è spettato a una dipendente che aveva contratto il matrimonio, ovviamente all’estero, con la compagna. «All’interno di una materia notoriamente discussa, l’Ateneo ha ritenuto di confermare anche in questo caso una prassi amministrativa, già in atto da tempo, nel pieno rispetto della privacy delle singole persone.Ciò appare coerente anche con la dimensione e composizione internazionale dell’Ateneo», dichiara secca Patrizia Tullini, prorettore al personale dell’Università bolognese. Come a dire, abbiamo riconosciuto lo status di coniugato del nostro dipendente e non ci importa se il certificato che ci ha mostrato di matrimonio contratto all’estero, in Italia non ha nessun valore. Perché su questo ci sono pochi dubbi: «Nel nostro Paese il matrimonio tra persone dello stesso sesso non ha nessun valore legale», spiega Katia Lanosa, presidente dell’associazione avvocati matrimonialisti dell’Emilia Romagna. «Il matrimonio gay celebrato all’estero è inidoneo a produrre qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano».

E qui la discrepanza. Come può un ente pubblico dare un congedo matrimoniale a un dipendente che, in Italia, non può essere considerato "coniugato" agli effetti di legge? Sarebbe lo stesso pretendere un permesso per malattia senza presentare un certificato valido che attesti che sono malato. Questa «prassi» accade già da tempo in alcune aziende private del Nord Italia, come la Servizitalia di Parma, dove, dal 14 novembre scorso, anche i dipendenti che hanno contratto matrimonio con un persona dello stesso sesso all’estero possono beneficiare del congedo. Il fatto però che questo avvenga in un ente pubblico, quale è l’Università bolognese, cambia le carte in tavole. «La normativa vigente stabilisce che il congedo matrimoniale è previsto per chi, dipendente da almeno una settimana, esibisca lo status di coniugato – continua Lanosa –. La stessa cosa fanno i contratti collettivi nazionali del lavoro che, integrando la normativa, stabiliscono la fruizione di questi permessi». 

Ma quindi il comportamento dell’Università è legale o no? «L’apertura nei confronti delle coppie omosessuali che testimonia il cambiamento dei costumi arriverebbe dalla Suprema Corte di Cassazione che in una recente pronuncia – spiega l’avvocato – ha stabilito che per le coppie gay devono valere gli stessi diritti assicurati dalla legge a qualsiasi coppia etero». Sembra che all’ufficio del personale sia stato sufficiente riconoscere lo status, non l’unione, del dipendente per garantirgli il congedo. Un comportamento giuridicamente paradossale. Il fatto poi che il via libera sia arrivata quasi «in automatico» fa pensare che l’apertura alle unioni omosessuali sia data per scontata. E poco importa se l’Alma mater sostiene di essersi rifatta a una normativa internazionale, lasciando intendere che la legge italiana fornisce degli spiragli in questo ambito.

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