martedì 10 dicembre 2024
Una delle chicche del Photolux di Lucca è la mostra del fotografo di Domodossola. Città disegnate da eleganti geometrie, con le ombre e i sapienti tagli di luce. Una riflessione sul Belpaese
Tresigallo#01, 2017. L'Italia metafisica di Gabriele Croppi al Photolux di Lucca

Tresigallo#01, 2017. L'Italia metafisica di Gabriele Croppi al Photolux di Lucca - © Gabriele Croppi

Sogni. La scritta svetta su un palazzo dall’architettura chiaramente risalente all’epoca fascista. I tratti di una metafisica enigmatica e sognante sì di una città ideale costruita fra Ferrara e le Valli di Comacchio, Tresigallo. Un borgo agricolo di settecento anime che negli anni Trenta, l’allora ministro dell’Agricoltura e foreste, Edmondo Rossoni (che a Tresigallo era nato), decide di rifondare totalmente con un nuovo impianto e un nuovo concept urbano. Una città capolavoro delle linee e dei colori, divenuta nel tempo la capitale internazionale del razionalismo, meta degli amanti dell’arte e del cinema, perché visitandola sembra di vivere all’interno di un quadro di De Chirico o in un film di Wes Anderson. “Sogni”, che prima erano “Bagni”. Perché questo palazzo nella città ideale originaria era pensato per i bagni pubblici, mentre oggi è l’urban center. Il cuore della città, il luogo più amato da fotografi e instagrammer che adorano quel palazzo dal colore celeste pastello e quella scritta così iconica. È bastato cambiare una sillaba per trasformare la narrazione di un luogo. E aprire la mente ad altre prospettive.

Sogni. I sogni di Tresigallo che sono anche i nostri. Soprattutto lasciandoci conquistare e trasportare da questa visione intima e in bianco e nero, di Gabriele Croppi, fra geometrie di ombre che delineano l’enigma dell’Italia metafisica. Un racconto straordinario sul nostro Paese. Fatto di bellezza, di storie immaginarie, di personaggi pensanti. Di domande e di misteri. Una chicca del Photolux Festival, la biennale internazionale di fotografia diretta da Enrico Stefanelli, fino al 15 dicembre a Lucca, con diciannove mostre, workshop, talk, conferenze e presentazioni di libri dedicate a un tema: “Il Bel Paese?”. L’Italia, con tutta la sua bellezza e quel punto interrogativo che invita a riflettere sulla nostra identità, sulle promesse non mantenute, sulle speranze tradite, su quello che eravamo e cosa siamo diventati, sul nostro potenziale per cambiare verso al domani. Tutto attraverso la fotografia contemporanea.

Fra Palazzo Ducale e Palazzo Guinigi scorrono, fra le altre, le visioni delle spiagge di Massimo Vitali Sotto questo sole, l’Italia/Europea di Joakim Kocjancic, il lavoro sulle morti bianche di Massimo Mastrolillo, le vette di Vittorio Sella, i Matrimoni napoletani di Francesco Cito, le Verità nascoste della storia recente del Paese. E poi ecco ritrovarsi davanti all’Italia metafisica e alla riflessione sul potere della bellezza di Gabriele Croppi, cinquant’anni di Domodossola, cresciuto a Milano, pluripremiato fotoreporter e docente di Fotografia per i beni culturali all’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova. Città vere che sembrano astratte, disegnate calibrando il bianco e nero, creando eleganti geometrie con le ombre e i sapienti tagli di luce. Figure enigmatiche le rendono più vicine a noi. Chi sono? Per chiederci: "Chi siamo?". Come una donna con il cappello in piazza del Popolo ad Ascoli Piceno o quel signore ai piedi della Fontana dell’Elefante, u liotru, nel cuore di Catania, o l’artista di strada nella piazza del Duomo di Milano. Sembra di stare fra le pagine di Italo Calvino e delle sue Città invisibili, anche se quelle di Croppi sono reali e diventano oniriche: «Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra…».

«Spesso la fotografia ci è utile per raccontare delle storie, ma non sempre queste storie sono lineari e immediatamente percepibili. Ho sempre cercato di creare delle narrazioni potenziali, mai esplicite e molto spesso enigmatiche – scrive Croppi, guidandoci nel "tour" –. La fotografia come forma di enigma è un'idea che mi piace. Per la presunzione realistica che le viene spesso attribuita è la forma d'arte che in maniera più forte e più sottile ci consente di creare dei cortocircuiti semantici, delle narrazioni ambigue e sospese. Credo che questo approccio derivi, prima ancora che da de Chirico, da due grandi scrittori del Novecento: Borges e Kafka. Kafka mi ha insegnato che una narrazione può essere realistica, logica, descrittiva, ma al medesimo tempo ambigua e trascendente. Borges mi ha insegnato ad affrancare la fotografia dal tempo e dalla storia. Sosteneva che “l'arte e la letteratura dovessero riscattarsi dal tempo, dalla politica e dalla storia”. E amava citare la frase di un pittore nordamericano, Whistler, che un giorno disse: “art happens”, “l'arte succede, accade, cioè l'arte è un piccolo miracolo”».

L’arte. I sogni. Perché - prendiamo in prestito le parole di Luciano Ligabue - «sono sempre i sogni a dare forma al mondo». Anche nell’Italia metafisica di Gabriele Croppi.

Una foto e 736 parole.

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