martedì 28 gennaio 2025
Al Museo Diocesano di Milano, fino al 9 febbraio, la mostra dedicata al grande fotografo scomparso nel 2023. Quaranta immagini e un pellegrinaggio per il mondo dov'è la luce a dare senso alla vita
Giovanni Chiaramonte, Milano, 1999

Giovanni Chiaramonte, Milano, 1999 - © Archivi Giovanni Chiaramonte

È il colore della luce. Il giallo. Un giallo che non ti aspetti nella Milano dal cielo dalle mille sfumature di grigio fino al celeste sbiadito. Eppure, c’è un fotografo che ha raccontato il capoluogo meneghino con una luce speciale. Il «giallo Milano» di Giovanni Chiaramonte, straordinario fotografo di paesaggio e architettura, scomparso nell’ottobre del 2023 a 75 anni. «C'è una città luminosa, sorprendente, che non ho certo inventato io. I suoi palazzi pubblici sono radiosi. Non è un colore costruito», diceva quando gli si faceva notare la luce di meraviglia che si irradia dalle sue foto. Persino a Milano. Un giallo certamente diverso da quello che fissava in Sicilia, ai confini del mare, fra «il calore del ritorno» a casa (era nato a Varese, ma le radici erano a Gela) e l'abbaglio di una terra che da culla della modernità ha visto scomparire gli dèi e si riduce a «disperata orizzontalità».

Era, è una luce che arriva da lontano quella di Chiaramonte. E va lontano. La luce dell'infinito che attraversa il senso di tutta la nostra esistenza. «La fotografia è una immagine di luce generata nel buio, immagine finita in cui si specchia l'infinito, immagine del visibile in cui si rivela l’invisibile», spiegava, dichiarando un approccio che prima di essere artistico e fotografico, era teoretico. La sua era una scelta pensata, ragionata. Il frutto di una vocazione spirituale. Una «continua ricerca di senso». Che nasceva nel momento in cui si varcava «la soglia della creazione»: «In quel momento noi diventiamo sguardo».

Quello di Chiaramonte è un percorso di «realismo infinito»: il reale si rivela nell'istante che fissa l'evento e che dà senso alla vita dell'uomo nell'infinito. Nella pittura di Chagall o nel cinema dell'amato Tarkovskij, è chiaro come «nella dimensione del visibile, nulla mai si ripete allo stesso modo». E Realismo infinito si intitola la mostra che fino al 9 febbraio gli dedica il Museo Diocesano di Milano, curata da Corrado Benigni, realizzata con il sostegno di Fondazione Banca Popolare di Milano e Fondazione Fiera Milano e con il contributo di Fondazione Cariplo. Quaranta immagini, suddivise in tre sezioni-capitoli (Italia, Europe, Americas) che ripercorrono oltre due decenni, dal 1980 ai primi anni del 2000, di ricerca intorno ai diversi modi di percepire il paesaggio e la veduta urbana, da sempre al centro della fotografia e della riflessione teorica di Chiaramonte.

«Giovanni Chiaramonte – commenta Nadia Righi, direttrice del Museo Diocesano - ha sempre osservato il reale accogliendolo nella sua totalità, libero da ogni preconcetto, pronto ad accogliere l’imprevedibilità dell’esistenza. Per questo le sue fotografie parlano ancora oggi al nostro cuore, e ci aiutano a scorgere nella realtà i segni di qualcosa che va oltre la realtà stessa. È questa la ragione più profonda per cui il Museo Diocesano dedica a questo straordinario maestro della fotografia contemporanea questa mostra a un anno dalla sua scomparsa». «La sua arte, da sempre legata a un’esplorazione esistenziale e spirituale, è un ‘testo’ stratificato che narra il lungo e difficile cammino dentro le immagini per costruire un discorso che va oltre la dimensione del racconto del mondo, rivelando piuttosto i fondamenti del vedere umano…», scrive Corrado Benigni nel testo del libro che accompagna la mostra (edito da ElectaPhoto). «Chiaramonte sa bene che non c’è nessuna armonia nel mondo, nessuna totalità̀, nessuna compiutezza. La sua non è una fotografia consolatoria. L’ultima resistenza – sembra suggerirci – è solo quella dell’immagine che mostrando le cose le fa esistere in una luce nuova, come fa la parola nominandole».

Si parte da Milano, dalla luce potentissima che illumina lo sguardo di una coppia di giovani sulle terrazze del Duomo, per iniziare un’esplorazione che dall’Italia, da Roma e dai luoghi del celebre viaggio in Italia con Luigi Ghirri, prosegue in una sorta di “pellegrinaggio” - per lui che sapeva guardare in Alto - che porta a Berlino, ad Atene, arriva fino al Bosforo e a Gerusalemme e si spinge fino agli Stati Uniti e l’America Centrale. La luce di Chiaramonte. Il suo “giallo”, da Milano all’infinito.

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