
Una donna sotto choc rincuorata dall’amica in lacrime: entrambe sono scampate ai droni che hanno colpito le loro case a Kherson - Reuters
«Benvenuti in Russia. Vuole essere torturato con le scariche elettriche o desidera bere una bottiglia di vodka e poi gliela rompiamo in testa? Qui in Russia si può scegliere». Volodymyr scherza teatralmente mentre indica il grande fiume e irride il nemico che occupa l’altra metà della regione ucraina di Kherson: «Anche oggi attaccano per avvicinarsi e prendere le isole». Il piccolo arcipelago a pelo d’acqua sul Dnepr, dove c’erano vecchi cantieri navali, officine meccaniche, case di pescatori poi scappati via, dicono sia interamente disabitato. Da lì non arrivano colpi di artiglieria e i tiratori scelti, se ne stanno appostati più in lontananza, dietro la riva opposta che apre la strada verso la Crimea. «Mi preparo per quando torneranno», sbuffa Volodymyr temendo che davvero Kherson possa venire di nuovo conquistata dai russi.
I quattro isolotti rettangolari chiamati “Ostriv” sono tornati nel mirino. Semmai il Cremlino rinunciasse a riconquistare Kherson, gli “Ostriv” indicati in sequenza numerica da 1 a 4, metterebbero nella posizione ideale per negoziare, tenendo Kherson a 200 metri. Viceversa «per noi ucraini – spiega uno dei comandanti incaricati di proteggere il capoluogo liberato nel novembre 2022 – tornare sulle isole vorrebbe dire allontanare i russi dalla riva opposta e non perdere la speranza di poter un giorno riprendere l’intera regione. Forse anche provare ad avanzare fino alla Crimea». Un ottima ragione per cui Mosca affretta i tempi: sigillare il proprio lato e tenere i militari sul fiume, pronti per nuovi ordini. Da Bilozerka ad Antonivka le ininterrotte cannonate hanno cambiato il modo di misurare i minuti. Giorno e notte, senza sosta. «Ma non dormono mai?», sbotta Anna che da qui non vuole sloggiare. Metà delle case sono macerie, l’altra metà lo saranno.

Palazzi fantasmi, distrutti dalle bombe, per le vie della città - .
Presso Antonivka il ponte Antonivsky è tenuto d’occhio dai cecchini russi che scoraggiano qualsiasi forma di vita proceda nella loro direzione. Lo stesso fanno i guastatori ucraini che hanno minato i piloni, casomai le colonne russe provassero ad avanzare, come fecero nel marzo 2022 accerchiando poi Kherson. Nel villaggio che un tempo era il paradiso dei camminatori sul lungofiume, resiste il fornaio che impasta con lo scafandro antischegge, e resiste Vyta Medvedeva che con il marito va in giro con la sparachiodi. Recuperano pannelli di legno e metallo e mettono al riparo gli infissi dei vicini, quasi tutti scappati via. Di solito sono seguiti da una muta di randagi con cui vanno a fare compagnia ai pochi anziani rimasti. Vyta sorride, spalancando quegli occhi azzurri che a suo marito per un istante fanno dimenticare la guerra e quello che i russi durante l’occupazione hanno fatto a lui e di cui non vuol molto parlare. I vecchi non se ne vanno. Chi per ostinazione e chi perché arrivati a una certa età «la morte non la puoi rimandare all’infinito, è più dignitoso che ti prenda a casa tua», scandisce nonna Kateryna a cui hanno portato provviste e un nuovo cellulare con i tasti grandi. Non è detto che riuscirà ad utilizzarlo. Tre giorni fa il tiro a segno contro le antenne della telefonia mobile ha spento le comunicazioni. E nessuno se la sente più di cercare operai disposti ad arrampicarsi sui tralicci per svolgere le riparazioni. L’ultima volta hanno dovuto mobilitare un intero squadrone di fanteria ucraino che ha protetto i tecnici con un fitto fuoco di copertura. La settimana dopo anche la nuova antenna era un colabrodo. Il morale non è alle stelle. Kiev sembra più lontana. Anche se il presidente Zelensky è sceso ieri fin nei tunnel militari di Pokrovsk, l’avamposto a nord di Mariupol. Poi si è recato sul fronte di Kharkiv dove ha incontrato le truppe.

L'interno di un appartamento colpito - .
Se Mosca riuscisse ad aprire una breccia nel muro difensivo ucraino, in pochi giorni l’intero fronte sud si troverebbe a dover respingere attacchi da almeno tre direzioni. Dall’altra parte del Denpr le notizie che arrivano dai “partigiani” non aiutano i negoziatori ucraini. Smembrare il Paese sembra una sorte scontata, ma come dire ai civili rimasti intrappolati che nessuno proverà più a liberarli? I sabotatori dietro le linee del nemico non mancano. Giovedì sera alcune foto mostravano una Nissan ridotta in un mucchio di lamiere fumanti. A bordo c’erano due ufficiali russi di stanza a Skadovsk, sempre nella regione occupata di Kherson. Poche ore dopo alcuni residenti ucraini della provincia occupata, e che venivano dati per dispersi, sono apparsi davanti a un tribunale. Rispondono dell’accusa di “cospirazione” e di “mancata collaborazione” con l’esercito russo. Un messaggio per quanti si ostinano a non stare dalla parte del Cremlino. Mosca ha dato l’ultimatum: se entro giugno gli ucraini delle terre conquistate non chiederanno il passaporto russo, verranno trattati al pari di stranieri irregolari.
C’è una cosa che si impara in fretta arrivando a Kherson. Un’avvertenza ripetuta come una lugubre filastrocca: «Finestrini aperti con il caldo e con il freddo. Guarda in su. Se senti un drone, se vedi un drone, fermarsi e correre in ogni direzione». Sarà il dronista russo a scegliere chi inseguire. Gli altri si salveranno. È successo anche ieri. Giù dall’auto, a perdifiato. Il piccolo quadricottero caricato con una granata pedinava un camion di ortaggi. Fortunatamente il velivolo killer è andato a sbattere contro un albero che ha fatto da scudo. L’unica buona notizia di una giornata con i russi di nuovo alle porte.