Ci volevano intelligenza e coraggio per mettere su una rotta sicura la 'nave Italia', né l’una né l’altro sono mancati a Mario Monti e ai ministri del suo governo. Bisogna essere consapevoli e grati per questo, anche se pesano – e molto – le misure di rigore assunte con l’ultima delle manovre che hanno scandito il 2011,
annus horribilis per le finanze pubbliche e private degli italiani (e, soprattutto, dei tantissimi italiani che costituiscono il popolo dei contribuenti onesti). Siamo stati sottratti, noi e i concittadini di Eurolandia, a un naufragio collettivo, desolante prospettiva aperta da errori in serie un po’ altrui, ma soprattutto nostri. E siamo stati posti in salvo, pur acciaccati e doloranti, da coloro che si sono assunti l’onere di realizzare una manovra forte dagli effetti forti che altri non potevano compiere o s’impedivano, l’un l’altro, di articolare e concludere. Adesso, a carte scoperte, c’è chi legittimamente obietta e lamenta questa o quella pecca o mancanza, questo o quel nodo tenacemente aggrovigliato, questa o quell’aggiunta possibile (ci sono, del resto, margini ragionevoli, seppur assai limitati, per correggere in corsa i testi predisposti; ci torneremo su). Ma nessuno può davvero pensare che l’insieme dei provvedimenti pensionistici, tributari e normativi definiti dal governo Monti fosse evitabile. Era ormai inevitabile. E si doveva realizzare con tutta la possibile tempestività. La buona notizia – doppiamente buona, alla luce della triste serie di precedenti manovre severe eppure desolatamente insufficienti sul piano del giudizio internazionale nei confronti del nostro Paese – è che stavolta l’effetto positivo è stato immediato e ben percepibile. Lo attesta il brusco ridimensionamento del differenziale tra i titoli italiani del debito e quelli tedeschi (il famigerato «spread»): un salto all’ingiù che prefigura un minor peso sui nostri conti della spesa per interessi valutabile in alcuni miliardi di euro. Manovra inevitabile, dunque. E, bisogna pur dirlo, non liquidabile sotto il segno dell’iniquità. Poteva essere più equa? Facile dire di sì. Ma poteva pure essere molto meno equa e molto meno lungimirante, come in passato (anche in un passato recente) è ripetutamente accaduto. Equità e lungimiranza sono infatti sorelle gemelle, perché nessuna scelta, nessuna attribuzione e nessuna regola può essere buona soltanto qui e ora, e se un sistema di sussidi e un regime fiscale, contributivo e pensionistico sono orientati a scaricare sulle generazioni future i pesi dell’oggi non possono essere considerati buoni e giusti, perché sono sbagliati alla radice. Poteva, ad esempio, questa manovra affrontare con molta minore lucidità la cruciale, e comunque aspra, questione del riequilibrio necessario tra trattamenti e attese previdenziali della generazione dei cinquantenni di cui faccio parte (nonché di quelle appena precedenti) e la condizione delle nuove generazioni, segnate da una vasta precarietà. E invece no. Il governo dei tecnici nella situazione politica attuale, tenendo conto di diverse sensibilità e di un comune senso dell’urgenza, ha fatto ciò che doveva essere fatto, prima o poi. Meglio prima che poi, allora. Con la speranza, che non può più esser delusa, del pronto avvio di un cantiere – quello che il presidente del Consiglio ha evocato ieri, in Parlamento, parlando delle politiche per la famiglia – nel quale le grandi questioni irrisolte eppure decisive per il futuro dell’Italia e degli italiani potranno essere affrontate a dovere.Ci piace, perciò, considerare le misure varate dal "presidente professore" un grande e faticoso primo passo. Compiuto con una determinazione inconsueta per la nostra politica e, soprattutto, usando anche l’arma totale di un esemplare impegno in prima persona, con una enorme voglia di far capire ai concittadini perché e senso dei sacrifici necessari. È quello che ci siamo augurati più volte che accadesse. Ora è accaduto, e ha il sapore di una svolta. Speriamo che la svolta porti rapidamente buoni frutti e lavoriamo perché i buoni frutti siano distribuiti con giustizia.