La riproposta d’un testo di Lanza del Vasto da parte di due continuatori della sua opera di pace e la breve lettera di un insegnante su “giovani” atrocità indicano un bivio decisivo
Gentile Marco Tarquinio,
siamo una coppia, siamo stati educatori scout e da molti anni facciamo parte della Comunità dell’Arca, fondata da Lanza del Vasto che fu discepolo di Gandhi e maestro di nonviolenza in Europa. In questi tempi di guerra e di rinnovati incubi atomici abbiamo collaborato alla riedizione de Le due Potenze (La Meridiana, 2022). Si tratta della traduzione in italiano, di un testo di Lanza del Vasto scritto in francese, e intitolato De la Bombe, al tempo della guerra fredda tra Usa e Urss a cui abbiamo aggiunto le riflessioni dello storico della fisica Antonino Drago e del teologo Giovanni Mazzillo. Ha sessant'anni, ma è un libro che parla con drammatica attualità.
Le due potenze sono l’atomica e la nonviolenza. L’uso della Bomba è l’antitesi assoluta del messaggio della nonviolenza. Questa, infatti, vuole la vita, la dignità, la felicità dell’uomo. Quella distrugge per sempre l’umanità intera. Tutto ciò non aggiunge forse molto al sentimento di milioni di italiani che auspicano la fine delle ostilità in Ucraina, la sospensione dell’invio di armi, invocando vie diplomatiche per la risoluzione del conflitto. Ma, come sappiamo, la possibilità di interventi nonviolenti in Ucraina, come in altre guerre, è stata esclusa e anche irrisa da gran parte dei politici e dei media. E certo, c’è un ritardo storico nella proposizione della nonviolenza che andrebbe esercitata quando i conflitti danno i primi segnali e c'è il rischio di una escalation. Noi pensiamo però che, oltre al ritardo storico, ci sia anche un forte ritardo culturale, e ce ne sentiamo un po' colpevoli.
Le scienze militari, infatti, hanno progredito in tecnologie, scuole, divulgazione. Perché mai la nonviolenza e la possibilità di difesa civile non vengono altrettanto diffuse? L’obiezione di coscienza al servizio e alle spese militari aveva portato a importanti acquisizioni normative, come il riconoscimento, da parte della Corte costituzionale, nel 2004, del nuovo Servizio civile volontario quale forma di esercizio della “difesa della patria”. È stata poi prevista l'istituzione di Corpi civili di pace formati per azioni di pace in aree di conflitto o a rischio di conflitto. Ma, con la sospensione della leva obbligatoria, i nostri giovani non si interrogano più sul “sacro dovere di difesa” sancito dall’articolo 52 della Costituzione che potrebbe essere oggi esercitato anche in forma non armata e nonviolenta. Eppure, questo è avvenuto in diverse occasioni storiche: dalla lotta per la liberazione dell'India, guidata da Gandhi, alla rivoluzione non armata di Solidarnosc in Polonia. La nonviolenza ha anche un suo bagaglio teorico e strategico: basti pensare alla produzione di Johan Galtung, sociologo e matematico norvegese, fondatore della peace research.Come Comunità dell'Arca abbiamo anche aderito alla Campagna per l'istituzione di un Ministero della Pace promossa dall'Associazione Papa Giovanni XXIII, presente con i volontari di Operazione Colomba in numerosi conflitti nel mondo: dai territori occupati della Palestina alla Colombia, alla stessa Ucraina. Ci sembra che lavorare insieme ad altri per raggiungere un obiettivo che tanti considerano utopistico sia già un buon inizio per dare visibilità a un patrimonio di culture e di pratiche alternative alla gestione militare dei conflitti. Lei non pensa che sia il tempo di studiare, divulgare e promuovere, accanto alla sacrosanta opposizione al potere della guerra, anche le forme che concretamente possano rafforzare il potere della nonviolenza?
Maria Albanese ed Enzo Sanfilippo, responsabili italiani della Comunità dell'Arca
Caro Tarquinio,
quanti delitti in questo nostro tempo che coinvolgono i giovani, vittime e assassini. E quanto dolore porto nel cuore. C'è una debolezza profonda: sono tutti colpiti al cuore, come se fosse schiantato, come se non battesse più. Si è fermata l'educazione, e l'essere umano è diventato una “cosa” che si può distruggere persino quando si vuole. Per fermare questa diffusione della violenza ci vogliono padri e madri, adulti ed educatori con uno sguardo pieno di amore. Uno sguardo che sia pieno di una domanda di perdono, perché se non pochi giovani sono così fragili ed esposti alla violenza la responsabilità è degli adulti.
Gianni Mereghetti, insegnante
Sì, cara Maria e caro Enzo, è passato molto tempo dal momento in cui Giuseppe G. Lanza del Vasto, con acuta lucidità, si mise e mise tutti noi, europei e occidentali, davanti al bivio tra Bomba (atomica) e nonviolenza. Lo fece con la sua vita e testimonianza di cristiano e di gandhiano e anche attraverso le pagine del testo oggi riproposto da La Meridiana sotto al titolo Le due Potenze. A quel bivio ancora siamo, sessant’anni dopo, in questo 2023 insanguinato dalla guerra d’Ucraina e da una miriade di altre guerre, ferocemente combattute all’ombra della grande mistificazione della “deterrenza” (produrre, accumulare e usare enormi arsenali bellici, proclamando che questo serve la causa della convivenza). Un bivio davanti al quale non dovremmo esitare nell’imboccare la strada niente affatto facile che porta a fare pace ripudiando non il conflitto (ineliminabile dalla vita degli esseri umani) ma la guerra, e la violenza che la scatena e la caratterizza. E invece... Sempre lì siamo.
Da una parte, la via più battuta e definita “razionale” che impone di assemblare e persino premeditare l’arma di distruzione totale e di scalare, a poco a poco, ma anche di slancio, la piramide d’odio e d’indignazione che rende la Bomba contemplabile e prima ancora concepibile dentro all’idea di una “guerra giusta” (ovviamente per la propria fazione). Dall’altra parte, la via della resistenza attiva, disarmata e disarmante, alle pulsioni belliche: devastanti, assassine e perciò esecrate eppure da sempre nell’esperienza umana coltivate e legittimate con la pretesa di disciplinarle. Una via, quella della nonviolenza, che certi presunti benpensanti giudicano non solo impraticabile ma addirittura improponibile. E così la violenza si radica e ricomincia, armata da pensieri e parole che uccidono e da dotata di sempre più efficaci e persino raffinati strumenti di morte.
Grazie perciò, cari amici, per la passione esistenziale ed educativa con cui avete vissuto e vivete la scelta della nonviolenza, tra pedagogia scout e adesione al concreto progetto di vita personale e comunitaria e di pubblica partecipazione che la Comunità dell’Arca propone. Grazie anche per il sostegno all’idea di un Ministero della Pace e alla campagna che l’Associazione Papa Giovanni XXIII continua a sviluppare perché venga istituito, dando contenuto propositivo alla limpida dichiarazione costituzionale di «ripudio della guerra». Abbiamo un ruolo da svolgere, noi italiani, sulla scena europea e internazionale per essere fedeli a noi stessi, alla nostra civiltà, e per dare finalmente rilevanza politica piena alla scelta della nonviolenza nei rapporti tra popoli e Stati. E nonostante irresolutezze, addomesticamenti, travisamenti e tradimenti è possibile esercitarlo. A partire da un’intenzione e da un’azione educativa che, una buona volta, sovverta la logica della guerra.
È quello che il professor Mereghetti chiede, alla sua maniera, da cittadino e da cristiano innamorato della “scuola di tutti” per la quale ha appassionatamente lavorato una vita intera. Anche a lui dico grazie. Cogliendo in pieno il suo riferimento a un recente e terribile fatto di cronaca che racconta l’assassinio di una ragazza compiuto a Roma da un ragazzo dalla doppia vita – reale e digitale – conquistato alla pratica della violenza e che, tra venalità ed esaltazione indotta pure dalla droga, non riconosce e arriva a massacrare la dignità e la libertà dell’altro/altra.
Educare è il contrario di sopraffare, è trarre fuori, far sbocciare e fiorire, è rendere forti. Senza violenza esercitata, giustificata, proposta a modello (in certi casi addirittura eroico). Nonostante gli istinti di cui siamo portatori e da cui rischiamo di essere portati possiamo farlo. Guidati da fede o ragione – o, meglio, dall’una e dall’altra – possiamo riuscirci. Questo è il cammino della civiltà, la vera forza della condizione umana, il compito degli adulti e l’orizzonte da consegnare all’intelligenza e all’energia dei più giovani. Questa è la liberazione che spiritualità, speranza ed empatia sanno generare. Nelle piccole come nelle grandi cose, perché a noi è dato di vivere e affrontare entrambe e in entrambe possiamo esprimere o distruggere l’umanità e la vita che ci è accanto e di fronte. Sta a noi scegliere.