sabato 31 agosto 2024
Sulle fondamenta delle dimore private sede della preghiera, dette "tituli", furono costruiti i più antichi luoghi di culto della città
La Basilica di Sant'Anastasia al Palatino, a Roma

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In vista del Giubileo, un itinerario attraverso i luoghi della memoria cristiana a Roma. La Città Eterna felice e fortunata per la grazia della permanenza e del martirio di Pietro, il Principe degli apostoli e di Paolo, l’Apostolo delle genti. Quello che qui si propone è un itinerario che segue il filo d’oro che si dipana attraverso le vie regine di Roma, le sue case e le sue basiliche, i suoi vicoli disseminati di osterie e madonnelle, i suoi santuari, storie di persecuzioni e sorprendenti conversioni, con l’obiettivo di aiutare i “romei” di oggi a trarre dalla visita “ad Petri sedem” conforto e conoscenza della vita per la quale è vera l’immagine dantesca della «Roma onde Cristo è romano». Un aiuto a guardare le tracce che, nel tempo che scorre, sono rimaste, talvolta quasi impercettibili o nascoste, a testimoniare la vita di una storia di grazia che entra nella storia.

«Esistiamo da poco tempo, e abbiamo già riempito la città, il palazzo imperiale, il senato, il Foro. A voi abbiamo lasciato soltanto i templi». Così Tertulliano, all’inizio del III secolo dopo Cristo, nel suo Apologetico, vantava la vitalità e la crescita della fede cristiana a Roma. Eppure chi arrivava nella capitale dell’Impero anche un secolo più tardi non avrebbe visto altro che il volto pagano di sempre per le strade e nei Fori. Un comune visitatore avrebbe visto i templi degli antichi dei, gli edifici amministrativi, i palazzi, i teatri, le grandi dimore e non si sarebbe accorto di memorie apostoliche. Dove erano allora i cristiani? Come vivevano? E cosa hanno fatto dopo la grande persecuzione neroniana del 64, dopo la morte degli Apostoli Pietro e Paolo?

Fino alle grandi persecuzioni di massa di Diocleziano sul principio del IV secolo, la comunità dei cristiani di Roma, fondata sul sangue degli Apostoli, tra periodi di pace e persecuzioni, dovrà aspettare il 313 per vedersi riconosciuto un formale diritto di cittadinanza in seno all’Impero e avere pubblici luoghi di culto. Per farsi allora un’idea della loro vita sociale e di fede si posso sfogliare le testimonianze fornite dai documenti, dalle epigrafi funerarie, dagli scavi archeologici.


Dalla morte degli Apostoli alla pace costantiniana
La vita dei cristiani a casa di Cesare
e la diffusione del Vangelo senza strategie pianificate



Intanto vediamo dove si riunivano in mancanza di luoghi di culto. Si riunivano nelle case private messe a disposizione da cristiani facoltosi e nelle quali si svolgevano liturgie e catechesi. Come quella del senatore Pudente al Viminale o quella di Aquila e Prisca sull’Aventino, già frequentate da Pietro e Paolo e che abbiamo visto nella loro permanenza a Roma. Case, che, all’esterno, come le nostre attuali abitazioni, avevano una targa con il cognome del proprietario o della famiglia che vi abitava, detta titulus. Il nome stesso di titulus, cioè “titolo di proprietà immobiliare”, legittimamente riconosciuto dallo Stato, in un’epoca in cui la proprietà ecclesiastica riconosciuta dallo Stato non esisteva, indicava così i diversi luoghi di riunione conosciuti dai fedeli e anche dal potere. Sparse nella città, in mezzo alle altre, furono queste domus ecclesiae, le prime “chiese” in cui, a cominciare dagli Apostoli, i loro successori amministravano i sacramenti e predicavano il Vangelo.


Secondo quanto riportato dal Liber pontificalis – una sorta di storia della Chiesa romana scritta da anonimi compilatori a partire dal VI secolo e che raccoglie notizie risalenti anche all’epoca apostolica – papa Cleto (76-78), successore di Pietro ordinò per primo nella casa di Pudente venticinque preti romani e papa Evaristo (97-105) costituì un equivalente numero di tituli. È dunque la loro diffusione a segnare e ad accompagnare il progressivo sviluppo del Vangelo negli ambienti della capitale dell’Impero in un processo lento. Ed è un progressivo diffondersi della grazia di Dio che avviene senza una strategia pianificata. Nel saggio La vita quotidiana dei primi cristiani, lo studioso Adalbert G. Hamman scrive infatti che «la penetrazione cristiana nel corso dei primi due secoli, quando la Chiesa era ben lontana dall’essere favorita dallo Stato ed era esposta al sospetto e all’ostilità, dipese più dalla vita che dalla strategia. La Chiesa conosceva la giovinezza della sua storia. Essa diffuse la Buona Novella nel fervore del primo amore».

Se si può perciò stabilire una topografia della Roma cristiana dei primi secoli sulla base di questi tituli, quel che è certo è che dopo la pace costantiniana, sulle fondamenta di queste case, divenute di proprietà della Chiesa, furono costruite le più antiche chiese di Roma, tutte ancora esistenti. A queste chiese sarà assegnato il nome di un santo solo a partire dalla seconda metà del IV secolo, mentre in alcuni casi il nome del santo coincide con quello del titulus. Per alcuni l’attribuzione precostantiniana è sicura. Sono il titulus Clementis (oggi San Clemente); il titulus Anastasiae (Sant’ASnatsasia); il titulus Vizantis (Santi Giovanni e Paolo); Equitii (Santi Sivestro e Martino ai Monti); Chrysogoni (San Crisogono) Sabinae (Santa Sabina); Gaii (Santa Susanna); Crescentiane (San Sisto) e il titulus Pudentis (Santa Pudenziana). Risalgono con probabilità ai primi del IV secolo anche il titulus Callisti (Santa Maria in Trastevere), quello di Ceciliae (Santa Cecilia in Trastevere) e il titulus Marcelli (San Marcello al Corso).

Altri tituli sono attestati in calce al documento relativo al Sinodo tenuto dal clero romano nel 499: Priscae (Santa Prisca); Praxedis (Santa Prassede); Lucinae (San Lorenzo in Lucina); Fasciolae (santi Nereo e Achilleo); Aemilianae (Santi Quattro Coronati); Ciriaci (San Ciriaco in Thermis); Tigridae (santa Balbina). Dopo la pace costantiniana furono fondati altri cinque nuovi tituli tra cui il titulus Marci (San Marco) e il titulus Apostolorum (San Pietro in Vincoli). Quasi tutti sono a poca distanza dall’antica cinta muraria di Servio Tullio, che era stata inglobata dallo sviluppo successivo di Roma. Un perimetro in cui si svolgeva la vita pubblica di Roma fatta di popolani e artigiani, commercianti e militari, aristocratici, senatori e viaggiatori che giungevano da ogni parte dell’Impero. Lungo questo perimetro - da Trastevere, brulicante di marinai, artigiani e commercianti, al Celio affollato di militari, all’Aventino e al Viminale sede di dimore signorili fino ai lati della via Appia, luogo di vita e di lavoro di quanti vivevano di trasporti - la fede cristiana, senza ostentazioni, aveva messo radici nel tessuto della città.

Nel 284 quando salì al potere Diocleziano ponendo mano a una drastica riforma del Stato, fiaccato dalla crisi politico-militare, i cristiani vennero accusati di allontanare con la loro presenza il favore degli dei sulle sorti di Roma. In quel momento la comunità godeva da più di trent’anni di un periodo di pace e molti cristiani ormai occupavano posti di governo, responsabilità nell’amministrazione e nell’esercito, oltre che nelle classi dell’aristocrazia. Fu Galerio, successore designato al governo della pars Orientis a convincere l’imperatore a dar fuoco alle polveri. Si arrivò così alla fine del III secolo con la grande persecuzione di Diocleziano. L’ultima prima della pace costantiniana.

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