Una raffigurazione di Paolo agli arresti a Roma - undefined
In vista del Giubileo, un itinerario attraverso i luoghi della memoria cristiana a Roma. La Città Eterna felice e fortunata per la grazia della permanenza e del martirio di Pietro, il Principe degli apostoli e di Paolo, l’Apostolo delle genti. Quello che qui si propone è un itinerario che segue il filo d’oro che si dipana attraverso le vie regine di Roma, le sue case e le sue basiliche, i suoi vicoli disseminati di osterie e madonnelle, i suoi santuari, storie di persecuzioni e sorprendenti conversioni, con l’obiettivo di aiutare i “romei” di oggi a trarre dalla visita “ad Petri sedem” conforto e conoscenza della vita per la quale è vera l’immagine dantesca della «Roma onde Cristo è romano». Un aiuto a guardare le tracce che, nel tempo che scorre, sono rimaste, talvolta quasi impercettibili o nascoste, a testimoniare la vita di una storia di grazia che entra nella storia.
«Così partimmo alla volta di Roma. E i fratelli di là, avendo avuto notizie di noi, ci vennero incontro fino al Foro di Appio e alle Tre Taverne. Quando Paolo li vide rese grazie a Dio e prese coraggio» ( At 28,14-15). Così negli Atti degli Apostoli l’arrivo di Paolo a Roma. L’evangelista Luca descrive da testimone quel primo incontro con i cristiani della Città di Cesare. I cristiani di Roma, tranne alcuni, non conoscevano Paolo di persona, ma dall’Apostolo avevano ricevuto anni prima una lunga lettera piena di affetto: «La fama della vostra obbedienza è giunta ovunque», aveva scritto loro, nella speranza di poterli raggiungere presto. Gli erano perciò andati incontro lungo la via Appia per una cinquantina di chilometri, fino a una stazione di ristoro per i viaggiatori chiamata Tres Taberanae (a circa otto chilometri dalla attuale cittadina di Cisterna). Qualcuno si spinse anche oltre, per un’altra dozzina di chilometri, arrivando al Forum Appi, dove terminava il canale navigabile proveniente da Terracina. Le parole di Luca lasciano immaginare la commozione di Paolo nel vederli. Paolo arrivava in catene.
Fino a quel momento la missione dell’Apostolo delle genti era stata un vero ciclone per tutto il Mediterraneo. Dopo tre lunghi viaggi verso la Grecia e l’Asia Minore, peripezie e fughe rocambolesche, giungeva ora prigioniero a Roma per essere processato dal tribunale di Cesare, al quale egli stesso, come cittadino romano, si era appellato, dopo essere stato accusato da alcuni giudei a Gerusalemme di oltraggiare la legge di Mosè. Dalla via Appia dunque, in compagnia del discepolo Luca, e sotto custodia del centurione Giulio, Paolo entra nella Città eterna. È la primavera dell’anno 61.
A Roma regna il caos. Cantieri aperti, traffico di carri. Un milione di persone di tutte le razze e le lingue: è la Roma di Nerone, che sta facendo costruire la sua prima enorme reggia, la Domus transitoria, tra il Palatino e l’Esquilino. Una città che si presenta magnifica nei suoi monumenti e nelle sue fastose dimore, misera nei densissimi quartieri popolari fatti di case in affitto separate da stretti vicoli.
Paolo, attraversata la città, viene consegnato al comandante dei Castra Praetoria, la grande caserma dei pretoriani al margine esterno dell’abitato (circa metà della cinta dei Castra è tutt’ora visibile lungo l’odierno viale del Policlinico) dove Tiberio, una quarantina di anni prima, aveva acquartierato la guardia imperiale e quella di pubblica sicurezza. A Paolo però viene concesso di risedere fuori dall’accampamento, «di abitare per suo conto con un soldato di guardia», riferisce Luca. Ottenuto quindi dalla prefettura il regolare permesso, in attesa del processo si mette alla ricerca di una stanza d’affitto. Era questo il sistema della custodia militaris (una via di mezzo tra la custodia libera, semplice sorveglianza, e la custodia publica, vera detenzione penale) che permetteva al prigioniero di scegliere la residenza ma di uscire con un soldato che lo accompagnava tenendolo legato con la catena al polso. Una condizione che garantiva comunque una certa libertà a Paolo per svolgere il suo ministero se, come è scritto negli Atti, poteva accogliere «tutti quelli che venivano a lui, annunziando il regno di Dio, e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento». Agli arresti domiciliari, nella casa che aveva preso a pigione, Paolo trascorre due anni interi, tutto il tempo previsto per la custodia preventiva. Ed è con l’accenno a questa prima prigionia romana dell’Apostolo delle genti che Luca chiude la narrazione degli Atti. Trascorsi i due anni Paolo riacquisterà la libertà, e, intorno al 63, intraprenderà altri viaggi in Oriente e Occidente, ma nuovamente arrestato, viene ricondotto a Roma. Una nuova detenzione, l’ultima, prima di spargere il sangue a gloria di Gesù Cristo nel luogo detto ad Aquas Salvias, nei pressi della via Laurentina.
Come quella di Pietro, anche la presenza di Paolo a Roma ha lasciato dietro di sé l’impronta di una memoria, tracce di un passaggio suffragate dagli Atti stessi. Ma dove trova affitto Paolo in custodia militaris? È una casa in affitto in riva al fiume, nella grande ansa del Tevere, poco distante dall’Isola Tiberina, dove con ogni probabilità Paolo prende alloggio al suo arrivo. Siamo nella zona che corrisponde all’odierno Rione Regola, nome che deriva dalla corruzione dialettale del latino arenula, sabbia, perché nell’ansa del Tevere si depositavano le sabbie trasportate dalle acque. Una tradizione costante risalente al II secolo vuole che la prima abitazione dell’Apostolo Paolo sorgesse nel punto in cui si trova oggi la chiesa di San Paolo alla Regola, nei pressi quel quartiere ebraico. L’unica chiesa, entro le mura di Roma, dedicata all’Apostolo. E gli elementi che vengono ad avvalorare l’insistente tradizione non mancano.
Paolo esercitava il mestiere di fabbricante di tende di pelle, mestiere che, come sappiamo da Luca, aveva praticato a Corinto. La zona del Rione Regola, densamente popolata già in età Repubblicana, ospitava gli artigiani del cuoio, per la maggior parte ebrei, che avevano il loro quartier generale sulla sponda opposta del fiume, in Trastevere. Luca negli Atti informa che Paolo appena giunto nella capitale volle spiegare la sua situazione agli ebrei di Roma, tanto che già «dopo tre giorni egli convocò a sé i più in vista tra i giudei… E fissatogli un giorno, vennero in molti da lui nel suo alloggio». È quindi verosimile che l’Apostolo abbia preferito questo luogo per prendervi dimora, come è scritto in nota ad un antico necrologio recitato nella chiesa di San Paolo alla Regola: «Gli era più comodo [questo ospizio] per discorre sovente con gli ebrei e per esercitarsi nella professione da sé umilmente assunta dei conciatori».
L’usanza di lavorare il cuoio nell’ansa del Tevere è continuata nel corso dei secoli fino all’Ottocento insieme alla memoria paolina, tanto che la località nel Medioevo era nota come Contrada Pauli: « In loco qui dicitur Pauli», nel luogo che è detto di Paolo, come riportano le fonti. Le origini della chiesa risalgono a papa Damaso (366-384) che volle costruirla intorno a quel vano che si riteneva abitato da Paolo e successivamente trasformato in oratorium. La considerazione dell’importanza rivestita dalla chiesa di San Paolo alla Regola si è tramandata nel tempo. I papi, in occasione della festa di Pietro e Paolo, quando a causa di guerre o pestilenze non potevano recarsi alla basilica fuori le Mura, venivano a celebrare qui la sua memoria.
Il luogo dove il Dottore delle genti iniziò a predicare a Roma, nel corso del XVI secolo, divenne sede di un importante centro di studi di dogmatica, con una ricca biblioteca, ma nel 1798, in seguito alle devastazionei compiute dall’occupazione francese, che distrussero completamente la biblioteca, la chiesa iniziò un lento declino. Oggi San Paolo alla Regola è adibita al culto dei cristiani copti e a causa delle profonde modifiche subite nel corso dei secoli non rimane quasi traccia delle antiche costruzioni. Scavi recenti hanno tuttavia riportato alla luce nuovi elementi che vengono ad avvalorare l’antica tradizione. È qui dunque che l’Apostolo riceveva i suoi amici come Epafra, giunto da Colossi per stargli vicino, e con lui Marco, Aristarco e ancora Epafrodito, che aveva raccolto una somma tra i cristiani di Filippi per aiutarlo a pagare la pigione e le spese del lungo processo?
Certamente nelle sue vicinanze, in quegli anni, furono scritti anche gli Atti dell’inseparabile Luca, il «caro medico», come Paolo lo definisce nella Lettera ai Colossesi. Trascorsi i termini della custodia militaris Paolo viene rilasciato. E c’è di sicuro un’altra casa romana che Paolo frequenta. Quella all’Aventino dei coniugi Prisca e Aquila, commercianti di pelli. Paolo li incontrò per la prima volta a Corinto nel 50: «Qui trovò un giudeo chiamato Aquila» scrive Luca. Prisca era romana, probabilmente della nobile stirpe degli Acilii Glabriones, la stessa gens cui apparteneva il senatore Caio Mario Pudente presso il quale aveva trovato ospitalità Pietro nella sua abitazione al Viminale e che anche Paolo frequenta.
Il secondo arresto che lo riporta a Roma è però custodia publica nel carcere comune. L’arresto deve essere avvenuto all’improvviso, forse a Troade. La Roma che aveva visto durante i due anni della prima detenzione è cambiata: viene naturale pensare al clima instauratosi nei processi contro i cristiani in seguito all’incendio dell’anno 64. Anche un cittadino romano come Paolo non poteva più contare su uno svolgimento regalare dell’azione giudiziaria. Il dato certò è che Paolo viene condannato e per un civis romaus la prassi prevede la decapitazione fuori le mura della città.
Una piana a tre miglia da Roma, nei pressi della via Laurentina, a sinistra della via Ostiense, qui una tradizione costante riconosce, già all’inizio del II secolo, il luogo della decapitazione di Paolo. Era chiamato ad Aquas Salvias, una località dove i romani usavano praticare il pugilato (in valle pugilum). Nel VI secolo vi è già presente una chiesa. Nel VII secolo papa Onorio I (625-638) fa costruire nei pressi della chiesa un monastero per ospitarvi i monaci originari della Cilicia, la terra natale di Paolo. Da quel momento fino ai nostri giorni, il luogo del martirio “la bocca di Cristo”, os Christi, come lo avevano denominato gli antichi monaci, ospitò sempre una comunità monastica affinché non si trascurasse mai, in un luogo così insigne, di lodare il Signore giorno e notte. Gli scavi condotti nell’Ottocento hanno definitamente accertato quanto al costante tradizione della Chiesa aveva tramandato. Gli scavi riportarono alla luce anche un breve tratto di strada romana che termina, come si può ancora vedere, davanti alla chiesa sorta sul luogo della decapitazione. Sono queste pietre l’ultimo tratto di strada percorso da Paolo.
(2 - continua)