La basilica romana di San Paolo fuori le Mura - .
«PAULO APOSTOLO MART», a Paolo apostolo e martire. Così si legge nell’iscrizione incisa sulla lastra di marmo che si scorge attraverso la grata ai piedi dell’altare della Basilica di San Paolo fuori le Mura. È questo il sepolcro dell’Apostolo delle genti. Sotto la volta del celebre ciborio dello scultore medioevale Arnolfo di Cambio è qui che, secondo una ininterrotta tradizione, riposano le sue spoglie. Una memoria che per tutto il Medioevo fu oggetto di una inesauribile devozione, come mostrano i fori, uno rotondo e due quadrati, posti accanto all’iscrizione che avevano la funzione di ottenere reliquie “per contatto”, perché giunti da ogni dove per venerarlo, i fedeli, usavano calare attraverso questi fori pezzetti di stoffa per metterle a contatto diretto con il sepolcro dell’Apostolo. E vicino al sepolcro, ben visibile, si vede ancora oggi anche un’urna di bronzo e vetro contenente la catena della sua prigionia romana, una reliquia che è presente nella basilica fin dal IV secolo ed è portata in processione ogni 29 giugno, nella solennità dei santi Pietro e Paolo.
Giunto a Roma in catene, in catene Paolo l’aveva lasciata subendo il martirio per decapitazione nell’anno 67, secondo la data trasmessa dalla tradizione, dopo le tante traversie, le fughe rocambolesche e le prigionie che egli aveva descritte nella seconda Lettera ai Corinzi e ricordate nell’ultima lettera-testamento scritta all’amico Timoteo. In atti apocrifi redatti in greco, risalenti al primo secolo e scoperti nell’Ottocento sul Sinai, è precisato il punto esatto in cui Paolo dovette subire, come cittadino romano, la decapitazione. Secondo questi scritti, l’Apostolo subì il martirio ad Aquas Salvias, in una piana a tre miglia da Roma, nei pressi della via Laurentina, a sinistra della via Ostiense, vicino alla strada, «presso un pino». Gli scavi archeologici effettuati dal noto archeologo romano Giovan Battista De Rossi nel corso dell’Ottocento sotto la chiesa di San Paolo alle Tre Fontane, sorta sul luogo della decapitazione, hanno accertato quanto la costante tradizione della Chiesa nel corso dei secoli aveva tramandato riguardo al luogo del martirio dell’Apostolo delle genti. Addirittura vennero rinvenute anche alcune pigne fossili. Una conferma inaspettata dell’antichissimo apocrifo greco che descriveva il martirio di Paolo proprio nei pressi di un pino.
Ma Paolo non venne sepolto come Pietro nel luogo esatto del suo martirio. Secondo la tradizione attestata in numerosi martirologi e atti apocrifi, la notte seguente la sua decapitazione, alcune donne presero il suo corpo e gli diedero degna sepoltura in un podere di proprietà di una di loro, una matrona romana di nome Lucina, ( praedium Lucinae) a due miglia fuori dalla cinta delle Mura Aureliane, lungo la via Ostiense. E proprio su questo tratto della via Ostiense è stato ritrovato un complesso cimiteriale, i cui resti sono venuti alla luce a più riprese. Le prime scoperte di cui si abbia notizia si verificano già nel 1707, nella vigna posta di fronte al monastero, sul lato opposto della via Ostiense, seguite dai rinvenimenti, avvenuti durante i lavori del 1838 e del 1850 sotto la Confessione della Basilica. Lavori che si erano resi necessari in seguito al rovinoso incendio che distrusse parte della Basilica il 26 luglio del 1823, ma che non intaccò il sepolcro dell’Apostolo delle genti. Accanto al quale, e in tutta l’area occupata dalla Basilica, furono rinvenute molte tombe. I l sepolcro di Paolo veniva dunque a trovarsi all’interno di una vasta necropoli sviluppatasi tra il I secolo a. C. e il IV secolo d. C. Nel corso di questo periodo si era passati dalla sepoltura per incinerazione – nella quale le ceneri del defunto venivano custodite in piccole urne disposte in nicchie lungo le pareti chiamate columbaria – all’inumazione in terra. Entrambe le tipologie funerarie sono presenti nel cimitero Ostiense. Da quanto si ricava dalle iscrizioni funerarie rinvenute si trattava di una necropoli destinata principalmente a schiavi, liberti, militari. Il dato archeologico perciò concorda senza difficoltà con la tradizione. Fin dai giorni immediatamente successivi al martirio, il luogo fu certamente oggetto di una particolare devozione da parte dei cristiani di Roma, che eressero un piccolo monumento sepolcrale per favorire la venerazione dell’Apostolo. È questa l’edicola funeraria di cui parla il dotto presbitero di nome Gaio, citato nella Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, quando invita i pellegrini a visitare insieme a quello di Pietro «sul colle Vaticano » il «trofeo» di Paolo «sulla via Ostiense». Dopo l’editto del 313 l’imperatore Costantino comandò che venisse costruita una basilica per meglio custodire e venerarne le spoglie. La basilica costantiniana, eretta in pochi anni, era di dimensioni ridotte, pertanto, sul finire del IV secolo, gli imperatori Valentiniano II, Teodosio e Arcadio decisero di riedificarla per renderla più ampia e grandiosa.
Ma com’era fatta la tomba di Paolo? Del suo sepolcro parla il Liber pontificalis nel VI secolo. Secondo questa fonte, Costantino edificò la Basilica su richiesta di papa Silvestro (314-335) e fece chiudere i resti di Paolo in una cassa di bronzo della forma di un cubo di circa un metro e mezzo. La cassa bronzea era contenuta in un vano murato sopra il quale ne poggiava un altro su cui era posta una grande croce d’oro. Sopra questo vano, chiamato arca della Confessione, si erge l’altare. La sistemazione della Confessione paolina non fu infatti modificata nel corso dei secoli ed è rimasta intatta fino ai nostri giorni. Nel 2009, a duemila anni dalla nascita di Paolo di Tarso, sono state condotte analisi scientifiche sul suo sepolcro. E ne furono comunicati i risultati nella solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo. Nei primi vespri del 28 giugno, in occasione della chiusura dell’Anno Paolino, papa Benedetto XVI così dichiarava: «Siamo raccolti presso la tomba dell’Apostolo, il cui sarcofago, conservato sotto l’altare papale, è stato fatto recentemente oggetto di un’attenta analisi scientifica: nel sarcofago, che non è stato mai aperto in tanti secoli, è stata praticata una piccolissima perforazione per introdurre una speciale sonda, mediante la quale sono state rilevate tracce di un prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato con oro zecchino e di un tessuto di colore azzurro con filamenti di lino. È stata anche rilevata la presenza di grani d’incenso rosso e di sostanze proteiche e calcaree. Inoltre, piccolissimi frammenti ossei, sottoposti all’esame del carbonio 14 da parte di esperti ignari della loro provenienza, sono risultati appartenere a persona vissuta tra il I e il II secolo. Ciò sembra confermare l’unanime e incontrastata tradizione che si tratti dei resti mortali dell’apostolo Paolo. Tutto questo riempie il nostro animo di profonda emozione. Molte persone hanno, durante questi mesi, seguito le vie dell’Apostolo – quelle esteriori e più ancora quelle interiori – che egli ha percorso durante la sua vita: la via di Damasco verso l’incontro con il Risorto; le vie nel mondo mediterraneo, che egli ha attraversato con la fiaccola del Vangelo, incontrando contraddizione e adesione, fino al martirio, per il quale appartiene per sempre alla Chiesa di Roma. Ad essa ha indirizzato anche la sua Lettera più grande ed importante». D alla memoria di Paolo, Giovanni XXIII, il 25 gennaio 1959, annunciò ai cardinali l’intenzione di indire il Concilio ecumenico Vaticano II e alla memoria di Paolo, figura fondamentale per l’unità dei cristiani, sono tutt’ora legati episodi ecumenici significativi nel percorso dell’unità dei cristiani. Nel prossimo Giubileo il 5 gennaio si aprirà anche la Porta santa costruita a Costantinopoli e donata a San Paolo nel 1070, perché «essere in cammino insieme con Paolo – come ha ricordato papa Ratzinger – e con lui e grazie a lui venire a conoscenza di Gesù e, come lui, essere illuminati e trasformati dal Vangelo – questo farà sempre parte dell’esistenza cristiana».