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Alex Ovechkin acclamato dalla folla dopo il nuovo record storico di gol in carriera
Ottocentonovantacinque. È il numero dei gol in carriera che il giocatore di hockey su ghiaccio Alexander Ovechkin, moscovita e capitano dei Washington Capitols, ha raggiunto domenica a New York, superando così il record di tutti i tempi nella Nhl che apparteneva al leggendario atleta canadese Wayne Gretzky. Il russo Ovechkin è – per nulla celatamente – amico e sostenitore di Vladimir Putin, tanto da mostrare nella sua foto profilo Instagram da 1,7 milioni di followers una sorridente fotografia insieme. Gretzky è invece un fervente sostenitore di Donald Trump, colui che vorrebbe annettere il Canada come 51° Stato Usa, tanto da essere considerato nel suo Paese un “traditore” e aver visto a Edmonton, dove ha vinto quattro Stanley Cup Nhl, la statua eretta in suo onore imbrattata di materia fecale. Il 18 marzo, nel corso della famosa telefonata fra Putin e Trump, il presidente russo ha proposto all’omologo statunitense una partita che coinvolga i giocatori dei due Paesi impegnati nella Nhl nordamericana e nella Kontinental Hockey League russa e che riguarderebbe una sessantina di hockeisti russi sotto contratto in America e una dozzina di statunitensi che militano nella massima lega russa.
Con precoce entusiasmo molti hanno inneggiato a una nuova potenziale puntata della «diplomazia del ping-pong», fatto accaduto nell’aprile del 1971, quando le squadre nazionali di tennis tavolo di Cina e Stati Uniti si trovavano a Nagoya, in Giappone, per il campionato del mondo. L’incontro tra le due delegazioni avvenne in modo inaspettato, quando il giocatore americano Glenn Cowan, a causa di un ritardo, chiese un passaggio sul pullman della squadra cinese. In quell’occasione, Cowan e il campione del mondo cinese Zhuang Zedong fraternizzarono e si scambiarono doni. Quel casuale e simbolico momento diventò storico: su iniziativa del presidente Mao, la squadra cinese estese un invito ufficiale alla delegazione americana di tennis tavolo per visitare la Cina. Quattro giorni dopo, i giocatori statunitensi diventarono i primi cittadini americani a mettere piede ufficialmente in Cina dal 1949. L’evento segnò l’inizio di un’epoca, e la «diplomazia del ping-pong» sarà l’episodio determinante per la visita ufficiale del presidente Nixon in Cina, nel febbraio 1972.
È difficile – anzi, poco opportuno – mettere in relazione questi due episodi così distanti nelle intenzioni e nel tempo. Semmai gli oltre cinquant’anni che trascorrono dalla «diplomazia del ping-pong» a quella potenziale «dell’hockey» sono lì a ricordarci che lo sport è uno strumento efficace di dialogo e risoluzione dei conflitti soltanto quando l’azione parte spontaneamente dal basso. Al contrario, se sono i potenti di turno ad accordarsi per usare lo sport (o i propri “amici” sportivi) la storia è sempre, inevitabilmente, molto diversa. Il rischio, in questo secondo caso, è che lo sport passi dall’essere strumento di soft power a diventare sportwashing, fatto completamente diverso e molto pericoloso; non vorremmo che, in questo caso, venisse lavato – anzi, congelato – su una pista di ice hockey il sangue di un’aggressione militare. Nel frattempo, Putin si è congratulato immediatamente con Ovechkin a cui sul ghiaccio di New York ha fisicamente stretto la mano Greztky, presente per celebrare il nuovo detentore del record. Il confine fra sport e politica è sottile e tagliente, come la lama di un paio di pattini da ghiaccio.