Caro direttore,
attendiamo di sapere se i magistrati contabili ravviseranno una temerarietà nell’esposto della Federazione italiana tabaccai circa un presunto danno erariale addebitabile ai Comuni. L’iniziativa contro regolamenti e ordinanze dei sindaci, cioè contro atti amministrativi adottati per contenere le conseguenze sociali negative del gioco d’azzardo nelle città, è comunque molto interessante: per cominciare davvero a contabilizzare costi e benefici dell’inflazione di scommesse, lotterie, slot machine e altri consumi di alea in Italia. Finalmente, infatti, si potrà compilare un bilancio, segnando in una colonna la differenza tra il gettito dei giochi e le mancate entrate causate dalla depressione dei consumi familiari (inibiti dalla spesa senza valore d’uso dell’azzardo). E qui c’è un dettaglio curioso, da rimarcare.
La 'clausola di salvaguardia' dei conti pubblici, sottoscritta dal governo verso l’Unione Europea, ha comportato l’innalzamento al 22% dell’Iva sui consumi di ogni giorno. Per contro le imposte indirette sui giochi d’azzardo hanno segnato un andamento opposto, fino a presentare in alcune modalità aliquote inferiori alla stessa imposta di bollo. Ancora peggio stanno le cose se il raffronto viene fatto con le tasse dirette sui redditi. Per intendersi: sul gioco, come su ogni attività economica, gravano due tassazioni.
Quella indiretta, sul consumo, e quella diretta, sui redditi delle persone giuridiche. Ebbene nell’azzardo di Stato Iva, accise e altri gravami al consumo sono conglobati nel Prelievo erariale unico (Preu). Sul complesso dell’azzardo la media che risulta per le imposte indirette è inferiore al 10% del consumo lordo di giochi: è così che sono entrati all’Erario quasi 8,7 miliardi di Euro (al lordo anche dei costi di amministrazione…) sugli 88,250 della raccolta registrata nell’anno 2015. Ma il prelievo erariale unico varia a seconda delle tipologie: è fissato al 2 per mille nelle scommesse virtuali e si aggira sul 50 per cento nel Superenalotto. Insomma, più gli italiani destinano loro reddito al gioco d’azzardo, meno lo Stato incassa dalle imposte indirette sui consumi da produzione e da servizi (e di questi infatti prosegue la depressione, che alimenta la recessione economica).
A questa perdita 'relativa' vi è da sommare quella 'assoluta', che è determinata dall’assenza di entrate da tassazione diretta sui redditi di parte delle società concessionarie (e ovviamente su partner off shore di queste). Ad aggiudicarsi una grande fetta delle concessioni, infatti, sono state major del gambling aventi sede fiscale in altri Paesi: Gran Bretagna, Lussemburgo, Malta. Non mancano società del betting (scommesse e casinò on line) che impiegano sedi operative (e dunque che contabilizzano costi e ricavi gestionali) nei paradisi fiscali, caraibici o australi che siano. Il colosso mondiale del settore, formatosi con l’evoluzione del grande gruppo Lottomatica e che è arrivato di recente ad acquisire un gigante statunitense del settore, per l’appunto ha sede fiscale in Gran Bretagna. E anche altri 'vecchi' campioni italici dell’azzardo non sono più tricolori, ma battono nuove bandiere, nel Vecchio Continente è nel Nuovo Mondo.
Rovesciamo dunque l’accusa circa i mancati introiti generali dello Stato. E scopriremo che con i loro provvedimenti 'calmierativi' i sindaci, mentre riducono i danni sociali e personali del consumo capillare d’azzardo, contribuiscono per converso al rilancio dei consumi familiari ordinari. E dunque al rifornimento delle casse dello Stato con imposte, tasse e tributi sul mercato di beni e di servizi di uso quotidiano. Ma come si fa a tacere i costi per la riabilitazione delle persone affette da gioco d’azzardo patologico? E come si può ignorare la grande quota di scommesse, slot machine e simili che girano 'in nero', sfuggendo alla registrazione da parte dei Monopoli di Stato e alimentando la criminalità?
*Sociologo e ricercatore, presidente di Alea, Associazione scientifica per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio