martedì 31 dicembre 2024
Metà della popolazione globale è stata chiamata alle urne nel 2024. Con quali risultati?
Putin e Trump

Putin e Trump - .

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Esattamente 366 giorni fa ci affacciavamo sull’anno che veniva definito storico per il numero di cittadini del mondo chiamati alle urne nei propri Paesi: circa la metà della popolazione globale. È quindi tempo di trarre un bilancio di questo 2024, caratterizzato in primo luogo dai conflitti tragici che l’hanno insanguinato. Tre in particolare dovrebbero ricevere la nostra costante attenzione, che invece è ormai intermittente: quello ucraino, quello mediorientale e quello (drammaticamente trascurato) sudanese.

Ci si poteva aspettare dalle elezioni nelle due superpotenze – Russia e Stati Uniti – un segnale rispetto alle guerre in corso. Sulla salute della democrazia si attendevano segnali dal rinnovo del Parlamento europeo come dal voto in grandi e importanti nazioni quali India, Indonesia, Messico e Sudafrica. L’impatto del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, previsto per il 20 gennaio, è già stato ampiamente discusso. Resta da vedere se rispetterà il suo programma e riuscirà a mantenere le promesse: la speranza è che la diplomazia possa rimettersi in moto e sostituire le armi, anche se le sorprese sono dietro l’angolo.

In generale, il netto successo del presidente repubblicano, accompagnato dall’avanzata delle forze populiste, nazionaliste ed euroscettiche nei 27 Paesi dell’Unione, segnala che gli orientamenti antiliberali stanno crescendo nell’Occidente di solida e radicata tradizione democratica. Dietro la vittoria dei laburisti di Starmer a Londra, che ha apparentemente rotto la tendenza, c’è in realtà l’impennata dei consensi al nazionalista Nigel Farage, non a caso sostenuto da Elon Musk e frenato solo dal sistema super-maggioritario britannico.

Ha scritto Michael Walzer, il decano dei politologi americani, che il populismo è “il trionfo della democrazia maggioritaria sui vincoli liberali alla democrazia stessa”.

Chi ottiene più suffragi riceve l’investitura popolare e decide di conseguenza secondo quanto interpreta dei desideri della sua base. Questa forma semplice (e potenzialmente rischiosa) di governo democratico è solitamente temperata dalle Costituzioni. Esse proteggono i diritti individuali e delle minoranze così come le libertà civili; stabiliscono un sistema giudiziario indipendente che applichi le leggi nello spirito della Carta fondamentale; pongono le basi per le garanzie generali a una società dinamica e pluralista, dove i media siano autonomi e l’espressione del dissenso è tutelata. Perché, oggi, piacciono un po’ di più i leader che inclinano a una versione meno liberale della democrazia? In questi dodici mesi si sono moltiplicati i saggi e le analisi nel tentativo di rispondere. Vediamo non distante da noi il modello puro di questo approccio: quel Vladimir Putin rieletto in modo plebiscitario per un quinto mandato e critico dell’idea liberale “divenuta obsoleta”, come disse in un’intervista del giugno 2019 al “Financial Times” e che molti sottovalutarono con leggerezza.

Pochi vorrebbero un sistema-Cremlino repressivo e imperialista in casa propria, ma l’idea di efficienza, risolutezza, semplificazione, mantenimento dell’ordine e ripristino di una certa tradizione emana un robusto fascino nell’era della globalizzazione e della perdita di alcune certezze antiche. Sono fenomeni culturali e ideologici complessi e sfaccettati, che tengono insieme il vecchio e il nuovo, i guru dell’Intelligenza artificiale con i difensori delle gerarchie sociali e razziali.

Il bilancio allora non può che essere in chiaroscuro, senza un facile buoni contro cattivi, anche se la logica banalizzante e oppositiva dei social media spinge a giudizi affrettati e netti, creando per lo più l’illusione tragica di essere informati e capaci di gestire le sfide che dobbiamo affrontare. Secondo lo storico Robert Kagan, fino al 2016 vicino ai neoconservatori, le forze antiliberali che hanno portato Trump al trionfo, ottimamente descritte nel suo libro “Insurrezione”, credono (e non da oggi) “all’esistenza di intrighi orditi dalle élite nei quali sarebbero coinvolti Wall Street, i banchieri ebrei, i cosmopoliti, gli intellettuali dell’East Coast, gli interessi stranieri e i neri in una cospirazione per tenere sotto controllo i cittadini comuni bianchi”. Non si può tuttavia dimenticare che il tycoon è il più forte sostenitore di Israele (e di Netanyahu), numerosi magnati lo appoggiano, e il suo elettorato risulta piuttosto variegato.

In definitiva, l’anno elettorale ci restituisce paradossalmente un aumento dell’astensione laddove la percezione è che le procedure politiche non incidano sulla propria situazione e si pensa che le cose comunque non cambieranno. Ma proprio così si lasciano spazio e voce alle posizioni più estreme e polarizzate, con possibili involuzioni autoritarie. In questo senso, l’eredità del 2024 alle urne sta anche nel primo turno delle presidenziali annullato in Romania a esiti già acquisiti, per il sospetto (poi ampiamente ridimensionato) di ingerenze straniere nella campagna del vincitore ritenuto vicino a Mosca. Una decisione giudiziaria senza precedenti nella Ue: come Bucarest uscirà da questa crisi sarà un utile test per il 2025 europeo, che vedrà il cruciale voto tedesco in febbraio e una potenziale nuova convocazione ai seggi in Francia nella seconda parte dell’anno.

Oggi più che mai il composito e non indistruttibile tessuto della liberal-democrazia va custodito e rammendato con passione e partecipazione, sapendo che un sistema ben funzionante consente a chi lo vuole di “stare a casa” ed essere comunque tutelato da una rete di principi e di regole che vedono nella persona e nei suoi diritti fondamentali il limite a ogni abuso o negligenza grave dello Stato e della collettività. Affinché ogni anno possa essere segnato da elezioni serene, anziché da scelte drammatiche ed epocali.

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