Un'occasione irripetibile i colloqui Usa-Iran sul nucleare
martedì 15 aprile 2025

Da questi colloqui “indirettamente diretti” di poche ore non ci si poteva aspettare molto; anzi, considerata l’intensità dell’ostilità reciproca fra Washington e Teheran – che dura ormai dal 1979 – è già un successo che le delegazioni statunitensi e iraniane si siano parlate, sia pure tramite gli omaniti, lo scorso sabato. E ancor più che abbiano deciso di rivedersi sabato prossimo a Roma per cercare un nuovo accordo sul programma nucleare iraniano.
La scelta della nostra capitale non è casuale: l’Italia è da sempre un dei paesi occidentali di cui la Repubblica Islamica ha meno sfiducia; nonostante i nostri tentennamenti in politica estera degli ultimi anni, abbiamo evidentemente ancora un capitale di apprezzamento, pur se il lavoro di raccordo fra i due negoziatori sarà ancora affidato alla diplomazia omanita.
La notizia dell’avvio di questi incontri diplomatici ha sorpreso molti, primo fra tutti il primo ministro israeliano Bibi Netanyahu, che era corso a Washington per ottenere la luce verde sul tanto annunciato bombardamento delle installazioni nucleari iraniane da parte dell’aviazione dello stato ebraico. Bibi contava sul sostegno di Trump, definito il miglior amico di Israele e da sempre ostile alla Repubblica islamica. E invece, con una delle sue mosse a sorpresa – e si spera non catastrofiche come quella sui dazi – il presidente statunitense ha aperto a questi negoziati. Ovviamente, alla maniera di Trump, ossia alternando minacce e proclami da bullo di quartiere all’ottimismo irragionevole di chi pensa che complesse crisi diplomatiche possano essere da lui risolte come si fosse in uno dei suoi (finti) reality.
Ha sorpreso meno la decisione dell’Iran di “andare a vedere” le carte statunitensi, costretti dalla debolezza del paese, aprendo a colloqui che stanno mostrando spaccature e divisioni nel sistema di potere iraniano. In questi giorni, infatti, i giornali ultra-conservatori e quelli legati ai pasdaran ringhiano contro chiunque si dimostri favorevole a trattare con il Grande Satana, secondo la definizione che Khomeini diede degli Stati Uniti. Una rabbia indirizzata verso quel che rimane dei riformisti e moderati, e contro lo stesso presidente Pezeshkian, il quale si è spinto perfino ad auspicare investimenti diretti Usa nella disastrata economia del paese.
Ma poco gli oppositori dei negoziati possono fare finché il leader supremo, l’ayatollah Khamenei, li autorizza. Non certo per convinzione: egli da sempre non si fida di un Occidente che detesta; tuttavia, li vede come una amara necessità. Nell’ultimo anno, l’Iran è stato umiliato da Israele: i suoi proxy nella regione, Hezbollah e Hamas, sbaragliati dalla brutale forza militare di Tel Aviv; il fondamentale alleato siriano, Bashir al-Assad, cacciato dall’opposizione sunnita; il suo stesso territorio violato da bombardamenti di precisione contro il suo programma missilistico, mentre gli attacchi iraniani a Israele si sono risolti in un nulla di fatto. Tanto che Teheran è costretta ad assistere impotente alle insensate carneficine di civili palestinesi volute dal governo di ultra-destra israeliano.
L’Iran è debole ed esposto, e Khamenei lo sa. L’alternativa ai negoziati è subire pesanti bombardamenti, con il dilemma di come rispondere e se allargare il conflitto alle monarchie arabe del Golfo, cosa che obbligherebbe gli Stati Uniti a entrare in un conflitto totale. Che si tratti con il nemico, dunque, anche se le distanze restano abissali: da un lato, gli Stati Uniti chiedono lo smantellamento di tutto il programma nucleare (l’opzione libica), che per l’Iran è improponibile; dall’altro lato, Teheran sembra disposta a concedere garanzie su verifiche degli impianti e su inviare all’estero (la Russia come opzione) l’uranio arricchito.
La verità è che la decisione del 2018 di Trump, durante il suo primo mandato, di ritirarsi unilateralmente dall’accordo firmato da Obama nel 2015 (il JCPOA) è stata una mossa assurda, dato che si trattava di un buon compromesso. Ma il passato è passato: oggi l’Iran ha bisogno di evitare nuovi colpi che ne dimostrino la fragilità militare – e allo stesso tempo di puntellare la sua disastrata economia – mentre Trump deve ottenere almeno un successo diplomatico, dopo aver sbandierato per mesi che avrebbe risolto in ventiquattro ore tutte le principali crisi internazionali.
Insomma, per quanto stretto possa apparire, l’impervio sentiero dei colloqui sul nucleare deve essere percorso. L’Europa e l’Italia devono cercare di renderlo più agevole, e di impedire che – come avvenuto troppe volte in passato – chi vuole lo scontro riesca a sabotare il cammino incerto dei negoziatori.


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