Chiamato a parlare di sé durante un recente incontro di gruppi giovanili, Vladimir Putin ha usato un’espressione russa molto tipica descrivendosi come un uomo abituato a procedere po planu, cioè a seguire un programma fino a raggiungere l’obiettivo prefissato. Ci si può quindi chiedere quale sia il suo piano oggi, visto che dall’invasione del 24 febbraio 2022, in realtà, gli obiettivi sono cambiati spesso. All’inizio, con l’avanzata su Kiev, ci fu il tentativo di provocare il collasso della presidenza Zelensky. Poi l’obiettivo divenne cedere meno terreno possibile al contrattacco ucraino. Quindi sventare la fin troppo annunciata offensiva ucraina. Infine, nella fase che dura tuttora, trascinare l’Ucraina in una guerra di logoramento che solo il sostegno occidentale (oltre 81 miliardi di euro di aiuto militare dai soli Usa, Gran Bretagna e Germania tra febbraio 2022 e ottobre 2024) le ha permesso di sostenere.
Oggi sappiamo dove stiamo: il 20% del territorio ucraino (quello, tra l’altro, più ricco di risorse) è sotto il controllo dei russi, gli Usa vivono la delicata fase di transizione verso una presidenza Trump che sarà tutta da scoprire, la Ue è infragilita e divisa, l’Ucraina devastata da una guerra che la esalta come nazione ma rischia di annichilirla come popolo (52 milioni di abitanti nel 1992, la metà adesso). Le pur grandi difficoltà in cui versa la Russia putiniana, soprattutto in campo economico, non sembrano al momento tali da influire in misura decisiva sulle strategie del Cremlino.
In un quadro di questo genere è più che lecito dubitare, come fa per esempio il Dipartimento di Stato Usa, della volontà russa di arrivare a stipulare una tregua o addirittura, come ha detto Putin nei giorni scorsi, a “risolvere” il conflitto. Questo se ci si concentra sulla situazione del campo di battaglia. In una prospettiva più ampia, però, le cose cambiano. La storia di questi ultimi decenni dimostra che il Rubicone anti-Nato di Putin ha due nomi precisi: Ucraina e Georgia. Mosca non ha fatto la guerra ai Paesi baltici quando questi (2004) vollero entrare nell’Alleanza Atlantica. Ma l’ha fatta nel 2008 alla Georgia quando Saakashvili (appoggiato a parole da George Bush) voleva portarla nella Nato e l’ha fatta all’Ucraina dal 2014, cioè da quando l’Euromaidan, e poi la presidenza Poroshenko, l’hanno fortemente avvicinata all’Alleanza. Se il vero proposito del Cremlino è tenere lontana la Nato dai due Paesi decisivi per evitare alla Russia l’accerchiamento anche sul Mar Nero dopo quelli sul Baltico e nell’Artico, allora una tregua in Ucraina potrebbe essere ora più che gradita. Putin fa lo strafottente, propone addirittura un “duello” tra i suoi missili Oreshnik e i sistemi contraerei occidentali nei cieli di Kiev. Ma non può essergli sfuggito che l’adesione dell’Ucraina alla Nato non è nelle cose e chissà quando mai lo sarà. E che per l’esercito russo sarà quasi impossibile, oltre che molto costoso in termini anche di perdite umane, ottenere risultati strategici, come la conquista di Khar’kiv, di Dnipro o di Kherson, vista la fatica che fa per portare a casa vittorie tattiche come a Pokrovsk o a Toretsk, città assediate da settimane ma non ancora conquistate.
Il tutto mentre, come si diceva, l’economia russa fatica a mantenersi in asse reggendo l’impegno della guerra: le voci da Mosca parlano di scontri sempre più frequenti tra Elvira Nabiullina, governatrice della Banca Centrale e custode degli equilibri finanziari, e gli alti papaveri del complesso militar-industriale, che vorrebbero mano libera. Si dice che la Nabiullina abbia più volte messo in guardia Putin e che questi, a sua volta, le abbia imposto di non alzare il tasso d’interesse nell’ultima riunione del board della Banca, proprio alla vigilia delle feste. Per queste e altre considerazioni, il Putin bellicista in pubblico potrebbe nascondere un Putin privato assai più incline alla trattativa. Putin, d’altra parte, è un maestro del judo, sport in cui si cerca di volgere a proprio favore l’aggressività e lo slancio dell’avversario. In questo caso di Trump, che peraltro ben conosce l’arte del patteggiamento e dello scambio. A ben vedere, entrambi hanno bisogno di un accordo: Putin per chiudere, Trump per cominciare. Sembra escluso dai giochi, almeno per ora, il parere dell’Europa. Anche nella radicatissima ostilità, Mosca e Washington si “riconoscono”. Entrambe tendono purtroppo a sorvolare Bruxelles. E se l’Ucraina, come tutti pensano, è Europa, questo è un brutto segnale.