Da Carter a Biden, la lezione di una doppia uscita di scena
lunedì 30 dicembre 2024

Che cosa chiediamo ai nostri leader politici? E da cosa li giudichiamo quando non appaiono più come leoni in ascesa, ma sono appena illuminati dalla luce fioca sul viale del tramonto? La doppia uscita di scena di Jimmy “nocciolina” Carter e di “Sleepy Joe” Biden qualcosa, a questo proposito, potrebbe suggerire. Entrambi presidenti democratici da un solo mandato, con analoghi percorsi alla Casa Bianca segnati da difficoltà economiche interne e crisi degli ostaggi, pur con tutte le differenze del caso, Carter e Biden sono accomunati da quell’alone di “underrated”, di sottovalutati, che non rende loro pienamente giustizia e che pone qualche domanda anche a tutti noi.

Si è detto, e spesso non a torto, che quattro anni alla Casa Bianca siano troppo pochi per deviare in maniera significativa il corso della storia. E che la mancata conferma al termine del primo mandato sia per qualsiasi presidente Usa poco meno di un marchio di infamia. Ma troppo spesso siamo abituati a guardare ai nostri leader politici leggendo il loro mandato con una lente che guarda solo al breve termine. Presi dalle partigianerie, sempre più condizionati dal rumore di fondo dei social, valutiamo sempre meno il contesto generazionale e lo scenario complessivo della Storia, più attenti a capire se a livello personale abbiamo ottenuto qualcosa dall’ex leader ormai uscente e bastonato che a riconoscere il suo eventuale impegno per il bene comune.

Di Carter, morto domenica sera alla splendida età di 100 anni, oggi tutti celebrano - e a ragione – vari traguardi: l’impegno post-presidenza a favore della pace e dei diritti umani che gli valse un Nobel nel 2002, gli accordi di Camp David tra Israele ed Egitto che durano tuttora, le intese sulla riduzione degli armamenti con l’Unione Sovietica. Eppure, la sua sconfitta contro Ronald Reagan nel 1980 venne quasi salutata con un’ovazione: il suo tasso d’approvazione era crollato fino al 28 per cento, affossato anche dalla crisi energetica, dall’aumento incontrollato dell’inflazione e dei tassi di interesse che avevano sfibrato la classe media. Elementi che siamo tornati a sentire anche nell’ultimo biennio e che molto hanno pesato sulla mancata riconferma di Biden. Quasi cinquant’anni più tardi, Carter torna ad apparire all’opinione pubblica americana e ai suoi stessi ex rivali repubblicani sotto una lente diversa. Non siamo più così sicuri che la stagflazione di quegli anni – una combinazione di crescita lenta, disoccupazione e alta inflazione – fosse da imputare alle sue scelte politiche, ne rileggiamo in una chiave diversa l’incoraggiamento al risparmio energetico, comprendiamo maggiormente la sua “ostinazione” per la pace in Medio Oriente.

E se a Biden tutti hanno apertamente rimproverato dopo la sconfitta elettorale la sua testardaggine, per non aver fatto prima quel passo indietro che avrebbe forse consentito a Kamala Harris di costruirsi un profilo più convincente nella corsa alla Casa Bianca, e se non si può concordare con tutte le scelte compiute dal presidente Usa uscente nel suo quadriennio, allo stesso tempo è possibile immaginare che si guarderà a lui con occhio diverso, quando il passare degli anni avrà collocato il vecchio “Sleepy Joe”, Joe l’addormentato, come lo canzonava Trump, in un’ottica storica. Il suo solido sostegno all’Ucraina fin dal primo giorno dell’invasione russa – un sostegno di cui si è giovata anche l’Europa –, lo stimolo economico che ha consentito all’economia Usa di crescere a ritmi tripli rispetto all’Ue, l’impegno per la transizione ecologica, e non solo, sono punti fermi di un mandato che probabilmente verrà giudicato in futuro con valutazioni migliori di quelle attuali.

Qualche commentatore ha detto che, per essere davvero ricordato, il democratico avrebbe obbligatoriamente dovuto battere Trump e “salvare” così la democrazia americana. E noi non sappiamo se Biden avrà il tempo e il modo di farsi ricordare, sulla falsariga di Carter, anche dopo la sua uscita dalla Casa Bianca. Certo è che sembra un po’ presto per considerare il suo quadriennio come un incidente della Storia e che il tempo potrebbe porgercelo sotto una luce diversa. Proprio come accaduto al predecessore, un presidente a cui oggi viene riconosciuto di aver guardato più al bene comune che all'immediato tornaconto personale.

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