Sotto la grande scritta “Groza”, Luba Savcenko sfiora con le dita cinque dei nomi incisi sul marmo nero. «Anna, Tamara, Iryna, Anatoly, Oleksandr», sussurra. Li ripete più volte. Sono le sue sorelle e i suoi fratelli. Tutti morti nella strage di Groza che prende il nome dal minuscolo abitato nell’ultimo lembo della regione di Kharkiv. Una delle maggiori carneficine di civili compiute da Mosca nei quasi tre anni di guerra. Cinquantanove le vittime. A uccidere bambini, madri, padri, anziani di un agglomerato di appena 270 abitanti, un missile ipersonico piombato sull’unico bar dove la comunità si era riunita nel ricordo di un compaesano caduto per difendere l’Ucraina, Andriy Kosyr, dopo la cerimonia funebre al cimitero. E cinque erano familiari di Luba. Anzi, sei. Perché «fra i morti c’è anche la moglie di uno dei miei fratelli», aggiunge la donna di 64 anni, insegnante in pensione, mentre si asciuga le lacrime sul volto. Sono passati quattordici mesi dall’eccidio. Non resta nulla del piccolo caffè raso al suolo dalla follia russa. Al suo posto un memoriale, vicino a cui compare il relitto di quello che era il negozio del villaggio e che l’onda d’urto dell’esplosione ha devastato. «Qui c’erano i cadaveri di una delle sorelle e di uno dei fratelli», sospira Luba indicando un angolo del giardinetto per bambini. «Avevano il viso coperto di polvere. Erano appena stati estratti dalle macerie. Gli altri non li ho mai più visti: mi hanno detto che i corpi erano stati carbonizzati dalle fiamme». È stato il Dna a confermare che fossero loro. «Ma io sapevo che erano lì: me lo aveva detto Anna».
Luba Savcenko che ha perso cinque familiari nella strage di civili a Groza nella regione di Kharkiv - Gambassi
È stato uno sterminio pianificato, ha appurato il dipartimento investigativo regionale della polizia. E soprattutto è stata un’operazione organizzata con la complicità di due traditori locali. «Scoperti con la collaborazione del Sbu, i nostri servizi di intelligence », spiega il capo dipartimento Serhii Bolvinov. «Sapendo dell’incontro – prosegue – hanno inviato ai russi le coordinate del luogo, che è stato colpito in maniera esatta dal missile Iskander di cui abbiamo rintracciato i rottami». I loro nomi compaiono nell’elenco dei collaborazionisti della regione di Kharkiv: 995 in tutto. Una lista che si affianca a quella ben più ampia dei «militari russi che hanno commesso crimini sul nostro territorio: più di 8.600 gli identificati finora», fa sapere Bolvinov. E subito aggiunge: «Ma quelli schedati nel database nazionale sono 700mila mila». È la missione che si è data la polizia ucraina: dare un nome a chi si è accanito contro la popolazione.
Il memoriale della strage di civili a Groza dove un missile russo ha ucciso 59 persone in un bar - Gambassi
Sono 12.340 i civili uccisi in mille giorni di guerra. E 27mila i feriti. Lo certifica l’Onu. E l’Unicef fa sapere che «almeno 2.472 bambini sono stati uccisi o feriti». Da qui il monito: «Questa non può essere la nuova normalità. I ragazzi non dovrebbero essere obiettivi di guerra». Negli ultimi dodici mesi, sempre stando alle Nazioni Unite, le vittime sono state 1.940 e i feriti 8.633 sia «per i missili a lunga gittata», sia «per gli attacchi a ridosso dei confini o della linea del fronte». «Una strage degli innocenti per destabilizzare il Paese», avverte il superpoliziotto di Kharkiv. Ricorrendo anzitutto ai missili: in due anni di guerra la Russia ne ha lanciati 11.466 sull’intera Ucraina, secondo il Centro internazionale di studi strategici. E il 2024 è stato l’anno dell’escalation dei raid. Ad agosto il record: 1.100 razzi. A tutto ciò si aggiungono droni, colpi di artiglieria, bombe volanti. E in una nazione sotto scacco è più facile avanzare. Come sta avvenendo in Donetsk e nella regione di Kharkiv. E negli ultimi giorni anche a Kherson dove si registrano nuove offensive lungo il fiume Dnepr che divide l’Ucraina libera da quella in mano russa.
Il centro di Izyum distrutto dagli attacchi russi - Gambassi
Proprio il dipartimento di polizia di Kharkiv è uno dei più avanzati nella caccia ai criminali di guerra. «Ciò che accade ai soldati non è di nostra competenza. Noi lavoriamo per rendere giustizia alla gente comune che ha visto un proprio caro ucciso, torturato, ferito dall’esercito russo, solo per citare qualche esempio, anche con il supporto di qualche nostro connazionale», afferma Bolvinov. Mille gli agenti che guida. «Ci siamo specializzati in questo ambito perché siamo l’area liberata che più a lungo è stata controllata dalle truppe di Mosca: sei mesi, dall’inizio dell’invasione all’autunno 2022. A differenza delle zone intorno a Kiev che sono state occupate per un mese. E poi perché la nostra regione è costantemente bombardata».
Serghii Bolvinov, il capo della sezione della polizia specializzata in crimini di guerra della regione di Kharkiv - Avvenire
La sua squadra lavora sulla fossa comune di Izyum, la più grande venuta alla luce durante la guerra, con 449 corpi. Sono passati due anni da quando è emerso il cimitero clandestino voluto dai battaglioni d’occupazione nel boschetto all’ingresso della cittadina “martire” che per metà resta distrutta. «Dentro la cavità dove ancora compare la croce numero 319 era stato gettato il cadavere di Volodymyr Vakulenko, lo scrittore di libri per l’infanzia che ha avuto il torto di vivere in una casa piena di volumi in ucraino», ripercorre Bolvinov. Le autorità di Mosca hanno sempre negato il suo rapimento e avevano archiviato la vicenda come un caso di scomparsa. «Il test del Dna ha rivelato che la salma era la sua. È stato ucciso con due colpi di pistola alla testa». Erano di calibro 9. Un’arma in dotazione ai vertici militari russi. «Due degli autori del delitto sono stati identificati un anno fa; il terzo da pochi giorni».
La fossa comune nella città di Izyum nella regione di Kharkiv - Gambassi
Anche la cittadina di Balakliya è finita nel tritacarne russo con la conquista da parte di Mosca. «Qui operava un colonnello che è considerato un eroe in Russia ed è stato insignito della medaglia al merito da Putin in persona – dice Bolvinov –. Ebbene abbiamo appurato che è responsabile dell’assassinio di cinque civili di cui ha tentato di far sparire le tracce nascondendone le salme». La foto dell’ufficiale è affissa in una parete del suo ufficio dove una mappa che somiglia a un albero genealogico racconta la sfida del dipartimento. «Non vogliamo limitarci a svelare chi ha materialmente commesso un crimine, ma trovare chi ha dato l’ordine ricostruendo le catene di comando». Nel risiko antiatrocità si scandaglia il web («Ci sono soldati russi che hanno lasciato in Rete immagini e commenti utili »), si ricreano in 3D le scene del crimine, si passano al setaccio foto e video («Molti ci sono stati inviati dalle persone comuni che li avevano realizzati di nascosto nei mesi di occupazione »), soprattutto si analizzano i documenti russi abbandonati dall’esercito di Putin prima della ritirata. «Abbiamo trovato lunghe liste di matricole che si sono rivelate preziose». Come quando si è trattato di ricostruire un’altra pagina nera che ha segnato la regione: quella delle camere delle torture. Ne sono state scoperte trentuno. «Almeno fino ad adesso – avverte l’agente –. Sappiamo di militari brutali e di altri meno disumani. Però il nostro scopo è denunciare un sistema scellerato che mette nel mirino i civili».
La casa distrutta a Kharkiv per un bombardamento russo - Gambassi
Poi c’è il capitolo dei complici. «I due sospettati di Groza avevano già lavorato per il nemico nel periodo di occupazione», dice l’investigatore. E, mentre i battaglioni di Mosca premono sull’oblast, si allunga l’ombra di spie, delatori e doppiogiochisti. «Tuttavia i numeri non sono preoccupanti: meno di mille su quattro milioni di abitanti che vivevano nella regione prima della guerra». Bolvinov traccia un identikit degli “amici” del Cremlino. «La maggior parte agisce per soldi: si viene comprati a buon prezzo. Poi abbiamo donne e uomini che hanno avuto problemi con la giustizia o sono ai margini della società. Soltanto una minoranza è filorussa, cioè sta con Mosca per ragioni ideologiche ». Le indagini guardano al presente ma puntano anche a cercare quanti si sono schierati con gli invasori quando Mosca controllava metà dell’oblast. «Abbiamo dimostrato che a Vovchansk il sindaco scelto dai soldati di Putin era un ucraino accusato di contrabbando».
Serghii Bolvinov, il capo della sezione della polizia specializzata in crimini di guerra della regione di Kharkiv - Gambassi
Il poliziotto è consapevole che identificare non significa punire. Per di più quando quasi tutti i potenziali criminali sono nello Stato aggressore. «Però famiglie e parenti ci chiedono risposte – conclude –. Al di là dell’obbligo legale, c’è un dovere morale e sociale. Inoltre siamo in contatto con i tribunali internazionali. E nell’ex Jugoslavia, a trent’anni dalla fine degli scontri, non si sono mai concluse le indagini di guerra che hanno portato anche all’arresto eccellente dell’ex presidente Milosevic».