Il luogo dell'attentato di New Orleans - Fotogramma
Indaga, setaccia, segue piste: è frenetica la caccia del Fbi agli arcana dei due attentati che hanno scosso New Orleans e Las Vegas, la notte di San Silvestro. C’è un nesso fra gli autori degli episodi? La matrice è rinvenibile in un'unica cellula, più strutturata e minacciosa di meri salafiti solitari, con complici, menti, soldi, ma stessa furtività dei secondi, grazie ad applicazioni commerciali di sharing, veicoli affittati e ordigni improvvisati, fabbricati con materiali di uso civile? Siamo lontani dall’esplosivo Tapt, ma inquieta lo stesso questa cellula 2.0 dell’Isis alias Daesh, composta da personaggi con trascorsi militari, apparente dimestichezza con ingredienti per gli esplosivi, ordigni rudimentali, e un’arma che torna in molti attentati: il veicolo, il pick-up, che si scaglia all’impazzata contro inermi. Torna l’incubo del terrorismo jihadista negli Stati Uniti, in una scia di attacchi sventati e riusciti che risale al 1993, al tentativo di far saltare in aria la torre settentrionale del World Trade Center, presagio funesto dell’11 settembre 2001. Altri tempi, altra complessità, contro la quale i servizi di sicurezza sono diventati estremamente capaci, essendo stati concepiti, riformati e strutturati per scandagliare macro-reti e cellule sospette.
Il centro nazionale statunitense per il controterrorismo è sicuro che la minaccia dell’Isis e dei gruppi qaedisti «è oggi al minimo storico, dopo l’eliminazione degli esponenti più pericolosi». Non c’è più un disegno organico, un terrorismo glocale-transnazionale, ma una sorta di mini-terrorismo. C’è un livellamento della minaccia, con metodi operativi semplici, spesso senza contatti fra terroristi e vertici centrali. Basta la propaganda in rete, in cui il Daesh e al-Qaeda sono sempre vitali. E il 2024 è stato un anno inquietante in Nordamerica: 14 gli arresti di presunti affiliati al Daesh, spesso cittadini americani con origine straniera. Un caso, una coincidenza? La minaccia è aumentata con l’anno elettorale negli Stati Uniti e con la guerra che perdura in Medio Oriente, foriera di sentimenti anti-occidentali e anti-ebraici. A settembre, il direttore dell’Fbi, Christopher Wray, disse che la sua agenzia aveva sventato un attentato terroristico pensato per il 7 ottobre: una data simbolica. Il potenziale autore, un cittadino pachistano, voleva colpire obiettivi ebraici a Brooklyn, in piena New York, richiamandosi alle farneticazioni ideologiche dell’Isis. Si sarebbe servito di armi automatiche e semiautomatiche, in stile fucile Ar, per compiere l’ennesima strage, fortunatamente sventata. Osservano molti esperti, fra cui Roger Noel e Olivia Keaney, che la minaccia terroristica si è democratizzata, per facilità di esecuzione, tempistica, strumenti d’azione e adesione al messaggio radicalizzante. Reagendo ai fatti di New Orleans, Sebastian Gorka, futuro direttore dell’antiterrorismo della prossima Amministrazione Trump non ha usato mezzi termini: «siamo sul fronte della guerra al terrore». L’uomo si è scagliato contro le politiche migratorie di Joe Biden, presidente statunitense, e della vice, Kamala Harris. A suo dire, quello di New Orleans è l’ennesimo caso di terrorismo avvenuto «grazie all’apertura dei nostri confini». Un’analisi forse parziale della poliedrica galassia terroristica statunitense, fatta anche di estremisti di destra e di sinistra, suprematisti bianchi e altri gruppi anti-Stato.
Ha però ragione Gorka nello stigmatizzare come globale la minaccia del terrorismo islamista. Quasi sradicato dai vecchi campi di battaglia siro-iracheni, il Daesh ha fatto fortuna nelle insorgenze africane, nel Caucaso, nel Khorasan e altrove. Nuoce ancora a livello planetario. Intervistato dal quotidiano la Repubblica, Gorka ha lanciato un monito anche all’Italia, il cui Vaticano ritiene obiettivo sensibile, come le chiese dell’Idaho, ambite da un filo-Daesh nel 2024: «lavorate a stretto contatto con la futura amministrazione Trump e impegnatevi a convincere gli altri stati dell’Ue a migliorare il controllo di chiunque varchi il vostro territorio», è il suo consiglio al nostro governo. Forse troppo frettolosamente, il presidente Donald Trump, allora al suo primo mandato, disse che la distruzione territorial-militare del Daesh, nel 2019, ne certificava la «perdita di prestigio e potere». Persi gli 88mila chilometri quadrati di pseudo-statualità quel nemico sembrava al tramonto: fallito il disegno politico, ne sopravvive però l’ideologia, che catalizza ancora lupi solitari e attentatori più o meno sofisticati, pronti all’azione a più latitudini.