L'abbraccio dei familiari a detenute e detenuti liberati nell'annuale amnistia per la festa dell'Indipendenza - Ansa
La giunta militare birmana ha ordinato la liberazione di 5.864 prigionieri, tra cui 180 cittadini stranieri nella tradizionale amnistia che sottolinea la Giornata dell’Indipendenza. Non è dato al momento di sapere quanti tra coloro che sono stati scarcerati siano prigionieri politici o comunque individui ostili del regime al potere dal primo febbraio 2021. Dati aggiornati indicano 21mila oppositori finiti nelle carceri spesso in condizioni di pura sopravvivenza e sottoposti a pressioni, torture e abusi denunciati da più fonti, con 2.000 morti in detenzione.
L’anno 2025 si è aperto in Myanmar su uno scenario di conflitto diffuso e complesso in cui ciascuna delle parti (giunta militare, governo di unità nazionale in clandestinità, etnie) cercano di garantirsi spazi e vantaggi in vista di una soluzione futura, al momento nemmeno individuabile. Sulla realizzazione di un nuovo assetto che veda il Paese pacificato la comunità internazionale è preoccupata ma resta, di fatto, inattiva, bloccata com'è dai veti e dagli interessi nei confronti della posizione strategica e delle risorse birmane.
Le promesse di elezioni che i militari guidati dal generale Min Aung Hlai dicono di volere “democratiche e inclusive” sono state finora disattese anche per la situazione di conflitto e per l’inevitabile sconfitta a cui il regime andrebbe incontro. Nonostante le azioni militari indiscriminate e la repressione, la volontà del regime di indicare una data si scontra con la determinazione delle opposizioni a evitare un voto-farsa che giustificherebbe la dittatura in corso.
Il capo della giunta militare al potere in Myanmar, generale Min Aung Hlai - Reuters
In questo contesto e nel suo rifiuto di facilitare il ruolo dei generali, si situa la detenzione prolungata della 79enne “icona” della democrazia birmana, la Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Ky. Condannata finora a 27 anni di carcere per 14 diversi reati, continua a ispirare l’impegno della Lega nazionale per la democrazia e il governo civile in clandestinità.
Quella del Myanmar resta una realtà in conflitto, perlopiù ignota o ignorata, dove la piccola Chiesa cattolica è impegnata a garantire le attività religiose ma anche ad alleviare le sofferenze di tutta la popolazione, senza distinzione, pagando anche un prezzo di sangue, con luoghi di culto e centri di iniziative comunitarie distrutti oppure occupati dai militari. La comunità cattolica trova conforto anche nella costante vicinanza di papa Francesco che in più occasioni ha ricordato le sofferenze di una nazione incontrata direttamente nel dicembre 2017 ma che conserva, dice, “sempre nel cuore”.