Mattarella come De André: la speranza coinvolge tutti e non assolve nessuno
mercoledì 1 gennaio 2025

L’unanimismo consolante – ma un po’ sospetto – con cui è stato accolto il messaggio di fine anno di Sergio Mattarella riporta alla mente le parole di una vecchia canzone di Fabrizio de André: «Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti». Il contesto, certo, è molto diverso. Il cantautore genovese si inseriva nell’ambito della Contestazione e prendeva di mira la tendenza perbenista della borghesia a non sentirsi mai chiamata in causa. Qui invece ci troviamo a commentare il messaggio numero 10 del Capo dello Stato, e un po’ c’entra sicuramente anche il record di Giorgio Napolitano, superato quest’anno. Come con il nonno al cenone di fine anno, c’è quasi l’obbligo morale di partecipare tutti all’applauso, senza però farsi scalfire dalle sue parole. Di più. Si coglie, come nelle parole di De André, un intento auto-assolutorio, una sorta di rito collettivo della classe politica (e non solo).
In sé è certo un fatto positivo che affiorino valori condivisi e super partes in un dibattito politico consegnato alla perenne contrapposizione, senza esclusione di colpi. Ma l’operazione, per avere una sua utilità, dovrebbe portare, ognuno per parte sua, ad assumersi il compito di un cambio di passo, di un’assunzione di responsabilità per mandare avanti il bene comune del Paese e della Repubblica evocati nella parte conclusiva del messaggio. E se la parola “speranza” è certamente quella centrale, nel rigo finale c’è il passaggio che tiene dentro tutto: l’invito a non restare in una «attesa inoperosa», perché «la speranza siamo noi. Il nostro impegno. Le nostre scelte».
Il messaggio, come nello stile di Mattarella, ha il pregio di rimettere in positivo, in chiave costruttiva, tutti i limiti e i malesseri che caratterizzano l’attuale dibattito politico e la società italiana. Invece di parlare di astensionismo, il Presidente preferisce indicare l’esigenza di una «ampia partecipazione al voto che rafforza la democrazia». Ma al di là del garbo istituzionale, si dovrebbe avere tutti il coraggio (e l’umiltà) di cogliere lo stesso le potenzialità di autocritica che il discorso contiene. Anzitutto una classe politica che, con il suo linguaggio guerreggiato, riesce ormai a intercettare - all’apertura delle urne - solo una porzione minoritaria di elettori. Ma non si può nemmeno gettare tutta la croce addosso alla politica: «La positiva mediazione delle istituzioni verso il bene comune, il bene della Repubblica» è compito che in quota parte riguarda tutti, nessuno escluso.

Dai medici agli insegnanti, dagli studenti ai volontari, dagli anziani che svolgono una funzione di welfare in famiglia agli stranieri “trapiantati” nello Stivale che amano l’Italia forse più di noi: la galleria di “piccoli eroi del quotidiano” consente a Mattarella di delineare una mappa inedita di sano “patriottismo” fatto di comportamenti concreti e non di proclami ideologici.

Ma l’invito a un cambio di passo nell’affronto di temi scottanti si coglie lo stesso, se non si lascia prevalere la logica autoassolutoria, si diceva, come nei versi di De André. Quando parla delle «condizioni inammissibili» delle nostre carceri e ricorda le «norme imprescindibili» della Costituzione, è davvero contraddittorio applaudire Mattarella senza farne derivare la necessità di individuare soluzioni strutturali o almeno gesti di clemenza in coincidenza con il Giubileo.

Da Mattarella sono venute anche parole in assoluta controtendenza sulla sicurezza, citando una ricerca recente del Censis che descrive in calo – all’opposto di narrazioni ricorrenti – omicidi, rapine e furti negli appartamenti. Nell’indicare invece i dati preoccupanti relativi a bullismo, morti sul lavoro e femminicidi, il Capo dello Stato ha sollecitato ancora una volta l’urgenza di un impegno comune, anche in tema di sicurezza, che punti sulla responsabilità, sull’educazione e sulla prevenzione al posto del cinico scaricabarile sui migranti.

Anche sulla pace, uno dei punti fondamentali da cui ha preso le mosse il messaggio, è davvero impossibile non trarre implicazioni concrete quando Mattarella definisce una «sconfortante sproporzione» il fatto che le spese in armamenti sono salite a 2.443 miliardi di dollari, superando di 8 volte quelle per la sostenibilità ambientale.

Su ogni tema si fa strada la speranza. Una speranza foriera di dialogo, rifuggendo da toni in grado di “scaldare” i cuori delle opposte tifoserie. La speranza, unita alla trepidazione, per Cecilia Sala. O quella che ci ha lasciato in eredità Sammy Basso, «che ci invita a vivere una vita piena, nonostante le difficoltà». La speranza nel futuro da garantire ai giovani, che nella precarietà ed incertezza trovano invece ostacoli che costituiscono «causa rilevante della crisi delle nascite che stiamo vivendo». E la speranza, nel messaggio di Mattarella, parte dalle parole pronunciate la notte di Natale dal Pontefice all’apertura della Porta Santa del Giubileo. Parole di speranza per le quali il Presidente sente di dover ringraziare Francesco.

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