Preti e comunità: la missione condivisa in un mondo che cambia
sabato 4 gennaio 2025

La recente riflessione di monsignor Lauro Tisi sulle pagine di Avvenire (qui: tinyurl.com/tisess) rivela quanto stia a cuore alla Chiesa il rapporto fra le diverse vocazioni e l’accompagnamento delle comunità e dei presbiteri nella relativa riflessione teologica. Il cambiamento d’epoca in atto esorta maggiormente a recuperare questa priorità della riflessione critica e condivisa, che consenta di osare una nuova immaginazione missionaria. Il modo in cui abitare cristianamente un territorio implica infatti un nuovo incontro e un reciproco ascolto tra le persone che nel Vangelo hanno trovato o si aspettano di trovare qualcosa. Per la comunità ecclesiale questo avanzare nel discernimento comune traduce un vero e proprio gesto di carità pastorale, forse il maggiore che oggi le è chiesto. Sia a Trento che a Cassano all’Jonio, mi viene da dire, i presbiteri con le altre e gli altri credenti vivono in un contesto che si sta secolarizzando più rapidamente di quanto la programmazione pastorale riconosca: questo provoca la salutare perdita di superflui privilegi, ma anche una nuova collocazione che il prete deve “meritarsi” nelle società ormai plurali. Quando ero bambino il parroco della città si avvaleva automaticamente di un’autorità che lo rendeva credibile e ascoltato da tutti, oggi non è più così. L’intera parabola della modernità europea, spogliando di potere la Chiesa ha dimostrato di saperla anche liberare, restituendole almeno qualcosa del vangelo sine glossa. È un processo che ora raggiunge le persone, i laici nel loro proprio – lavoro, famiglia – e i preti nel loro ruolo pubblico e nella configurazione della propria quotidianità e spiritualità. Il futuro ci chiede di immaginare sentieri e proposte attraverso cui i presbiteri sono chiamati a maturare un’identità solida, capace di dialogare con tutti, aprendosi ai diversi orizzonti spirituali e culturali. In modi diversi, ciò riguarda l’intero nostro Paese. Se non ora quando dare vita a scelte audaci, sollecitate dal recente itinerario sinodale, che proprio sulle ministerialità battesimali ha segnalato i frutti più maturi del Vaticano II?
Ciò riguarda direttamente il rapporto fra Chiesa e territorio almeno in due modi. Il primo tocca direttamente l’idea che abbiamo di missione, perché chiede ai pastori di riconoscere che l’evangelizzazione non passa previamente, né principalmente, dalle agende pastorali della Chiesa stessa, ma da ciò che avviene fra le persone nelle case e dentro gli ambienti di cultura, lavoro, educazione segnati dalla laicità: il laico è lì che incontra sempre più personalmente il Signore e lo lascia trasparire, se necessario anche con le parole. I presbiteri occorre, specie se in numero sempre minore, che imparino ad ascoltare, riconoscere, supportare questo primo profilo della missione, ben poco connotato ecclesiasticamente, ma pieno di energie spirituali. Il secondo modo di abitare da preti il territorio è sintetizzabile in questa rivoluzione: insieme. Mai più soli. Sia perché un ministero più itinerante chiede più casa, più intimità, più confronto e fraternità. Sia perché ogni vocazione si nutre delle altre e solo nella reciprocità si precisa.
Non solo nello spazio pubblico, dunque, ma anche in quello ecclesiale il presbiterio è chiamato a riformarsi, dal momento che comprende di non poter esaurire tutta la missione evangelizzatrice della Chiesa. La missione senza il “noi” è incompleta e quindi logorante e inefficace. Dobbiamo, anche come vescovi, assecondare la creatività dello Spirito che – in fasi delicate di transizione – conosce meglio di noi le occasioni per far risuonare la buona notizia. È il Vangelo il tesoro che sta a cuore ai presbiteri e non il proprio ruolo: questo credo sia vero ancora per larga parte del clero italiano. Ma occorre autorizzarci vicendevolmente a sperimentare che il Vangelo è antidoto efficace contro l’efficientismo di questo tempo che non ammette lentezze o rughe. A volte tanta frenesia del fare può raggiungere anche i cristiani illudendo di poter rendere di più dedicandosi a mille faccende ed eventi, senza stimare fino in fondo il tesoro deposto in vasi di creta. Così i volti e i tempi delle persone passano in secondo piano. Ed è Gesù stesso, allora, a non essere visto e a rimanere fuori. Il tempo che viviamo domanda cura per la creta di cui siamo fatti, perché emerga il primato dello Spirito in mezzo alle nostre contraddizioni. Solo una cura libera e genuina delle persone e della loro libertà può far risuonare la bella melodia del Vangelo in un mondo di cattive notizie: c’è ancora speranza per chi si avvicina ai cristiani, perché non trova solo creta, ma il tesoro che rende libera e ricca la vita umana.
Vescovo di Cassano all’Jonio
Vicepresidente Cei

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