Nell'anno giubilare gli auguri vanno presi veramente sul serio
giovedì 2 gennaio 2025

Un augurio per l’anno nuovo è apprezzato ovunque, si capisce. Ma non dobbiamo dimenticare il contesto. Noi viviamo in una parte del mondo in cui l’augurio sta diventando quasi un esorcismo, nemmeno troppo convinto. Un gesto scaramantico, della serie “io speriamo che me la cavo”.

Certo, siamo abili, e ci stiamo preparando a poco a poco, da decenni, ad assimilare la nostra condizione di ostaggi, in modo che la resa – quando verrà il momento – non ci sembri così vergognosa. In ogni comparto, ascoltiamo ormai lo stesso “catechismo”. Il sistema sanitario è in affanno? Certo. Liste d’attesa inaccettabili, scarsità di personale, specialità disertate, distribuzione capillare insostenibile. E questo è il lato che ci responsabilizza: dobbiamo fare di più. Ma poi c’è l’altra campana, che ci colpevolizza, mettendo la nostra mente in stallo. Il debito dello stato sociale è troppo grande, non vi potete immaginare di conservare tutti questi privilegi, nascono troppo pochi bambini e resistono troppi vecchi. Dell’immensa avidità che abita sistemicamente la selezione dei privilegiati, e del difetto di etica sociale che impoverisce scientificamente la collettività, non riusciamo a ragionare onestamente (non vorremo mica diventare moralisti).

La cultura umanistica deve accettare quello che avanza. Con tutto questo apparato “scientifico” che ti mette in soggezione – ci sono tecnici ed economisti che si dedicano a spiegarcelo con grande condiscendenza – che augurio volete che ci facciamo? Persino il vecchio adagio popolare, “quando c’è la salute c’è tutto”, zoppica un po’: bisogna vedere “se ci sono le risorse”, devi aggiungere oggi.

Questo per la cura del corpo, diciamo, semplificando un po’. Per la cura della mente – la scuola, in primo luogo! – i luoghi comuni sono perfettamente analoghi. Quali auguri dobbiamo fare ai giovani che sono nell’età dell’iniziazione alle bellezze e alle profondità di ciò di cui la mente umana è stata ed è capace, e non la ricevono? L’apprendistato dell’umanesimo dello spirito e della convivenza è ancora il tesoro che ci rende orgogliosi della scuola e degni della riconoscenza delle generazioni? La scuola come splendore dell’iniziazione umana sembra piuttosto una passione spenta. Persino gli edifici lo segnalano. I genitori, i figli, e anche molti insegnanti si adattano a una narrazione utilitaristica di basso profilo. “Mancano le risorse”? E dove sono finite, se non arrivano qui? Se i simboli elementari del bene comune vanno in depressione, delle emozioni – dei sacrifici e degli entusiasmi – che rendono bella la democrazia e appassionante la fraternità rischiamo di perdere anche la memoria. E cerchiamo scuse per declinare l’impegno alla condivisione proprio noi, che abitiamo la parte più ingorda del pianeta?

Immaginiamo di fare lo stesso augurio – l’anno inizia per tutti – pensando agli uomini, alle donne e ai piccoli che convivono quotidianamente, per anni e anni, con le devastazioni della violenza e della persecuzione, la mancanza di cibo e di medicine, l’orribile deprivazione di ogni possibilità di una decente iniziazione al mondo dell’intelligenza, dell’espressività e della creatività umana. E parliamo di diritti umani al benessere e alla felicità, persino, sui quali non si deve transigere. Non ci sentiamo un po’ in vergogna di fare auguri dalla luna? Insomma, non facciamoci auguri troppo leggeri, per quest’anno giubilare. Prendiamolo sul serio: è un’occasione unica per fare i conti con l’avidità dell’accumulo e l’ossessione del debito che impoveriscono la terra. Del resto, è nato così, l’anno giubilare. (E ha dovuto lottare per non cedere al mercato pure le sue indulgenze). La partita, anche per la fede, è seria, insomma. Seria, ma promettente.

Quest’anno facciamoci auguri che siamo pronti a onorare con un deciso cambio di passo, che fa credito alla nostra ambizione di rimanere umani. E giura di non rassegnarsi a diventare ostaggio di un debito che ha tutt’altri interessi. Facciamoci auguri che, con soave discrezione, ma anche con puntigliosa determinazione, scommettono su una lunga e amorevole storia di rivelazione dei “possibili di Dio”. Noi credenti abbiamo imparato dal vangelo di Gesù che la sensibilità alla condizione del povero sostiene tutte le altre prossimità: riapre la speranza di un destino pacificamente condiviso e richiude orribili buchi neri della storia. L’anno giubilare, che prepara il terreno per questa grazia di Dio, restituirà alla serietà del nostro augurio la potenza della sua benedizione. Cento volte tanto.

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