In un tempo della storia umana così delicato, segnato da profonde sperequazioni sociali ed economiche, Benedetto XVI ha trovato, in questi giorni, le parole giuste per confortare gli uomini e le donne di buona volontà, a ogni latitudine essi siano.
I suoi interventi in occasione delle festività natalizie hanno avuto come motivo conduttore il tema della pace. Sia nell’omelia durante la Santa Messa della notte di Natale nella Basilica Vaticana, come anche nel tradizionale messaggio in occasione della benedizione Urbi et Orbi del 25 dicembre, il Papa ha ribadito il suo pensiero, esprimendo preoccupazione, affinché le comunità cristiane, e più in generale la società civile su scala planetaria, prendano coscienza dell’importanza di partecipare attivamente alla costrzuione del bene comune, nel rispetto del valore positivo della vita. È un compito, questo, in cui tutti siamo impegnati in prima persona, a livello educativo, nel promuovere una cultura cristiana ispirata alla Dottrina sociale delle Chiesa, e dunque al Vangelo. In altre parole, è possibile che «le spade siano forgiate in falci», e che «al posto degli armamenti per la guerra subentrino aiuti per i sofferenti», ma a condizione che le persone siano illuminate dalla Grazia di Dio e che le agenzie educative svolgano il loro ruolo, aiutando a comprendere l’assurdità delle violenze in tutte le loro manifestazioni.
Un indirizzo teologico e pastorale, quello del Santo Padre, declinato in considerazione dei vari scenari che caratterizzano il panorama internazionale. «No», prima di tutto, alle violenze in nome di Dio, come purtroppo, per il terzo anno consecutivo, è avvenuto a Natale in due chiese della Nigeria Settentrionale, dove 12 cristiani hanno perso la vita; ma «no» anche all’assenza di Dio: «Dove non si dà gloria a Dio, dove viene dimenticato o addirittura negato, non c’è neppure pace. Se un qualche uso indebito della religione nella storia è incontestabile, non è tuttavia vero che il no a Dio ristabilirebbe la pace». Quelle di Benedetto XVI sono osservazioni estremamente importanti, perché rappresentano un superamento di molti luoghi comuni o di certe banalizzazioni sul significato da attribuire alla pace, che viene così disancorata da pregiudizi ideologici, di qualunque colore o provenienza essi siano. E illuminanti sono stati anche i riferimenti alle aree di crisi su scala planetaria: dalla Siria alla Terra Santa, dal Mali al Kenya, alla Nigeria… Il Pontefice, alla prova dei fatti, è l’unica voce – si potrebbe dire l’unico 'statista' – sulla scena mondiale contemporanea in grado di indicare la via del riscatto. D’altronde, come egli stesso ha sottolineato nel recente messaggio per la Giornata mondiale della Pace 2013, «presso porzioni crescenti dell’opinione pubblica, le ideologie del liberismo radicale e della tecnocrazia insinuano il convincimento che la crescita economica sia da conseguire anche a prezzo dell’erosione della funzione sociale dello Stato e delle reti di solidarietà della società civile, nonché dei diritti e dei doveri sociali». Non v’è dubbio, infatti, che molta della conflittualità nel mondo è determinata da situazioni di sfruttamento, ma anche dalla spregiudicatezza di coloro che mirano sempre e a ogni costo alla massimizzazione dei profitti. Nel corso del 2012 c’è stato un notevole incremento dei conflitti, soprattutto in Africa, continente dove le fonti energetiche e le molte altre ricchezze presenti nel sottosuolo rappresentano un fattore paradossalmente e altamente destabilizzante per le popolazioni locali, già affette da inedia e pandemie.Il Papa ha anche lanciato un appello in favore di tutti i profughi: «Quando si respingono rifugiati e immigrati, non è forse proprio Dio stesso ad essere respinto da noi?». A riprova che in questo tempo di crisi culturale e antropologica (non c’è solo la crisi dei mercati) in cui i nazionalismi sembrano riprendere il sopravvento anche in Europa, il precetto dell’amore non può essere frainteso o misconosciuto.