Nel mondo, un miliardo di pasti al giorno viene buttato. Questa cifra mostruosa dovrebbe farci impressione e non passare, invece, sottotraccia. Ci avviciniamo alle feste natalizie e l’occasione è importante per riflettere su uno dei "paradossi dell’abbondanza" più insostenibili che abbiamo di fronte e di cui siamo direttamente responsabili: gli sprechi e le perdite alimentari. Se riuscissimo a invertire queste tendenze che ci fanno sprecare sempre più potremmo contribuire in misura concreta a una duplice missione: usare il cibo che produciamo davvero con cura per le persone e abbattere le emissioni efficientando i nostri modelli di produzione e rendendoli più sostenibili.
Basterebbe questo dato: pensate che solo gli sprechi alimentari contribuiscono per circa l’8-10% delle emissioni di gas serra totali del sistema agroalimentare. Il fatto è che ogni persona, in media, spreca 79 chilogrammi di alimenti ogni anno, e circa un terzo di tutto il cibo prodotto viene buttato o perso in qualche fase della filiera alimentare. Stiamo parlando di numeri impressionanti che stridono rispetto alle condizioni di malnutrizione che ancora misuriamo in tante realtà fragili. Statisticamente il mondo produce cibo a sufficienza per tutti, ma nella realtà, e oltre i freddi numeri, le forti diseguaglianze di accesso a ciò che produciamo impediscono un equilibrio e lasciano fuori della zone di sicurezza alimentare milioni persone. Sprechi alimentari e perdite agricole sono due facce della stessa questione. Se i primi purtroppo si realizzano spesso per l’abbondanza di scelte, il comportamento dei cittadini-consumatori e i metodi di organizzazione delle filiere produttive e del commercio, le seconde - le perdite - sono pressoché legate ai metodi produttivi e logistici delle filiere agricole nelle realtà più fragili. Le perdite agricole si realizzano infatti a monte della filiera alimentare, soprattutto durante le fasi di produzione e raccolta. Il processo di trasporto è uno dei punti più critici nelle catene di approvvigionamento di prodotti freschi e nella vendita al dettaglio. E se in passato si pensava che gli sprechi fossero sostanzialmente un tema dei Paesi sviluppati, oggi, nuovi dati analitici ci dicono invece che il problema non è confinato "solo" ai Paesi benestanti perché la differenza nello spreco tra Paesi a reddito medio-alto e Paesi poveri è di soli sette chilogrammi pro capite all’anno. La vera linea di demarcazione, per certi versi persino trasversale alla ricchezza dei Paesi, è quella tra aree urbane e aree rurali, con le città epicentri dello spreco di cibo.
Vale la pena di sottolineare anche una correlazione diretta tra le temperature medie e i livelli di spreco alimentare. I Paesi più caldi sembrano essere più esposti agli sprechi probabilmente a causa del maggior consumo di cibi freschi e per la mancanza, spesso, di soluzioni per la refrigerazione e la conservazione. Alte temperature ed eventi climatici estremi come le ondate di calore e le siccità rendono la cura degli alimenti più difficile. Focalizzandoci su casa nostra, nella sola Unione Europea ogni anno buttiamo quasi 59 milioni di tonnellate di cibo. A conti fatti, vuole dire che ogni cittadino spreca 131 kg di alimenti all’anno. Oltre la metà di questi sprechi - circa 70 kg - avviene purtroppo nelle nostre case e famiglie, 28 kg nella fase della trasformazione, 12 kg tra ristoranti e servizi, 11 kg nelle fasi di lavorazione e 9 kg durante la vendita al dettaglio e nella distribuzione. Gli impatti di questa gigantesca inefficienza sono enormi su almeno tre fronti: quello ambientale, economico e sociale.
Sempre per riferirci all’Europa, il 16% delle emissioni di gas a effetto serra vengono causate dagli sprechi nel sistema alimentare, il conto delle perdite economiche causate dallo spreco di cibo supera i 130 miliardi di euro nonostante un giorno su due quasi 33 milioni di persone nel vecchio continente non possano avere garantito un pasto completo. In generale, le azioni di contrasto allo spreco alimentare variano molto da Paese a Paese e ci sono anche buone pratiche da cui imparare. Giappone e Regno Unito, ad esempio, sono riusciti a ridurre lo spreco del 31% e del 18%. In ambito G20, solo quattro Paesi - Australia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti -, insieme all’Europa, dispongono di stime adatte a monitorare i progressi nella lotta allo spreco fino al 2030. Il Canada si sta impegnando nella prevenzione con l’implementazione di una strategia nazionale, finanziamenti per innovazioni e incentivi fiscali che hanno aumentato le donazioni di cibo. In Francia una legge del 2016 ha vietato ai supermercati di distruggere il cibo invenduto, aumentando significativamente le donazioni alimentari.
E qual è la situazione in Italia? Dopo anni in cui la situazione sembrava essere migliorata, i dati diffusi dal Rapporto internazionale Waste Watcher 2024 dell’Università di Bologna dicono che ogni settimana nello Stivale finiscono nel bidone della spazzatura ben 683,3 grammi di cibo per persona (rispetto ai 469,4 grammi rilevati nell’agosto 2023). "In Italia l'incremento dello spreco alimentare a livello domestico è preoccupante - ha detto Andrea Segrè, direttore di Waste Watcher International-Campagna Spreco Zero -, non solo per l’aumento percentuale rispetto all'analoga rilevazione del 2023 ma soprattutto per le cause che lo hanno determinato, come un abbassamento della qualità dei prodotti acquistati". Questo deve spronarci a fare di più, anche perché abbiamo belle esperienze su cui investire soprattutto quando convertiamo lo spreco potenziale in risorsa.
Molto interessante quanto è stato presentato dal Banco Alimentare: il settore agricolo dona il 34% delle eccedenze prodotte, con il 18% delle imprese che sceglie di valorizzare le proprie eccedenze salvandole dallo spreco con la pratica della donazione. Le eccedenze donate in un anno dalle imprese agricole italiane sono 218.937 tonnellate: i produttori di ortaggi sono i più virtuosi - circa il 30% delle imprese e per quantità donate - mentre le imprese che producono e processano frutti oleosi sono la seconda categoria per diffusione della donazione, il 23% delle imprese. Dalla ricerca è emerso anche che la misurazione e il monitoraggio delle eccedenze alimentari sono driver strategici per le imprese, una condizione necessaria per qualsiasi azione di prevenzione dello spreco.
Ma i processi di misurazione delle eccedenze sono ancora poco diffusi tra le imprese agricole. La donazione a scopo sociale sembra "trascinare" le azioni di prevenzione, maggiormente orientate alla sostenibilità ambientale. Questi sono tutti buoni segnali, figli anche della legge 166 del 2016, una legacy di Expo Milano, che si concentra molto sul recupero delle eccedenze. Globalmente, se riuscissimo a dimezzare gli sprechi alimentari potremmo ridurre le emissioni di gas serra agricoli del 4% e il numero di persone denutrite di 153 milioni entro il 2030. Per fortuna ci sono uomini e donne di buona volontà. Che organizzano instancabilmente azioni e progetti volti a trasformare il rischio di sprecare cibo in opportunità per dare una mano a chi è in difficoltà. Anche a casa nostra abbiamo splendidi esempi che meritano un plauso e l’aiuto costante delle istituzioni. Penso al Banco Alimentare, che da anni organizza la Colletta alimentare. Penso ai volontari e ai progetti di Sant’Egidio. Ma penso anche a tantissime esperienze diffuse lungo tutta l’Italia: dall’Emporio Caritas di Milano alle cucine popolari di Cesena e Bologna, ai ragazzi di Bari della bella esperienza di Avanti Popolo 2.0, alla bella realtà d’impegno dell’Associazione ReFoodGees di Roma. L’elenco, per fortuna, è lungo e queste poche righe non rendono sufficiente merito alle tantissime persone che ogni giorno, concretamente, fanno la loro parte per invertire la rotta. Ricordiamocelo nelle prossime settimane di feste natalizie, ma proviamo anche a non scordarcelo subito dopo, quando le luci si spegneranno.
Direttore generale aggiunto Fao
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