E se ribaltassimo il paradigma? Se non accettassimo, cioè, come chiave di lettura esclusiva la deriva dell’«uomo solo al comando», da dove potremmo ripartire? La lezione delle Europee e delle Amministrative è ben più complessa di quella fotografata dall’esito del voto nazionale con la spettacolare avanzata della Lega di Matteo Salvini e l’altrettanto sonoro tonfo del M5s di Luigi Di Maio, perché sullo sfondo si intuiscono movimenti che vanno in direzione diversa e contraria rispetto al vento dominante del leader osannato o dannato, del dominus che tutto governa e tutto dispone così come sta emergendo in queste convulse giornate post-elettorali. Ci sono anche nuove dinamiche e possibili alleanze sociali su cui ragionare, frutto (e premio) della collaborazione virtuosa tra enti locali, società civile, mondo ecclesiale.
È questo ciò che si staglia all’orizzonte, nella logica della collaborazione e dell’inclusione sociale, vera alternativa alla delega in bianco al potente di turno.Si tratta di un segnale arrivato in perfetta sintonia con l’allarme che da queste pagine è stato lanciato e
dalla mobilitazione del Terzo settore che sempre qui è stata raccontata nel mese che ha preceduto il voto: una reazione istintiva e comprensibile vista la lotta senza quartiere purtroppo in atto contro atti e reti di solidarietà. Se si dovesse guardare al risultato uscito dalle urne con le lenti della società civile, si potrebbe dire infatti che il Terzo settore ha fatto sentire il suo peso nella rielezione di diversi sindaci (ovunque, anche nella "Lombardia leghista") così come nella promozione di singoli candidati all’Europarlamento. È come se questo mondo avesse scelto di schierarsi con una pluralità di persone, coloro che concretamente hanno saputo interpretare, nelle vesti istituzionali e nelle proprie attività quotidiane, il valore della solidarietà unito a quello della competenza.
Il caso di Bergamo, dove ai temi dello sviluppo e della crescita si sono accompagnate anche politiche di integrazione e innovazione sociale, è stato emblematico. Lo stesso era già accaduto a Brescia, un anno fa, in terre dove la domanda di sicurezza e legalità è storicamente cavalcata dal nuovo azionista di maggioranza del governo. E così anche a Firenze, Prato e Bari è stato premiato il lavoro di squadra tra sindaci e società civile. Perché? Come spiegare queste variegate isole di consenso che sembrano comparire da nulla in territori che sono una sorta di monocolore? E come legare tutto questo alle svolte altrettanto importanti, e da non sottacere, arrivate da centri come Riace e Lampedusa, dove invece le suggestioni securitarie hanno prevalso in termini percentuali di consenso al grande leader?
Il responso elettorale pare chiaro: laddove la solidarietà ha fatto rima con efficienza, laddove i percorsi di integrazione si sono abbinati a politiche in modo limpido all’insegna della legalità, l’azione amministrativa ha pagato e ha dato i suoi frutti. Se l’immigrazione non diventa una bandiera da sventolare pro o contro qualcuno, ma viene inserita, come sta accadendo a Milano, in un quadro di politiche sociali coerente e condiviso, le strumentalizzazioni ci sono, ma incidono poco. Gran parte della comunità sa riconoscere e ritrovarsi in un percorso che, alla creazione di nemici, preferisce la ricerca di alleati e la capacità inclusiva, la prospettiva dell’et et invece di quella dell’aut aut.
Son pur sempre casi isolati, si dirà. Forse no. Forse questa tornata elettorale verrà ricordata perché ha aperto uno spazio di rappresentanza importante proprio in questa direzione. È uno spazio tutto da coprire, per chi non si accontenta di formule facili, di progetti ideologici col fiato corto e di vecchi schemi calati dall’alto.
In questo senso, tutti i partiti, dalla Lega al Pd passando per il Movimento 5 Stelle, non sono riusciti per ragioni diverse (spesso opposte) a garantire un’offerta politica all’altezza, capace di tradurre su base nazionale il 'bene fatto bene', la solidarietà virtuosa premiata dagli elettori il 26 maggio. Hanno idee, progetti e visioni di breve periodo. Chiare, a volte, ma non sufficienti. È necessario altro, probabilmente. Proprio il nostro viaggio recente dentro le realtà vitali del mondo della solidarietà conferma infatti che c’è una domanda di rappresentanza che va colta e che non è per nulla valorizzata nei programmi attuali di maggioranza e opposizione.
È uno spazio che anche molti cattolici, e non da soli, potrebbero apprestarsi a riempire, senza inseguire rappresentazioni fideistiche ridotte a puro gesto e stereotipo, del resto già viste nei Paesi dell’Est Europa e non soltanto lì. La storia di dedizione al bene comune di persone provenienti da percorsi ecclesiali e solidaristici ha molto da insegnare. A chi è già impegnato e a chi si impegnerà.