«Il vino è dono di Dio». Con queste parole Papa Francesco lunedì mattina ha salutato la folta delegazione guidata da monsignor Domenico Pompili, vescovo di Verona, che ha accompagnato il mondo del vino italiano, rappresentato da Vinitaly di Veronafiere, prima del convegno “L’economia di Francesco e il mondo del vino italiano”. Per i tanti produttori presenti è stato evidente un senso di conforto, se si pensa agli attacchi ai quali il vino è stato oggetto in tempi recenti, pur avendo una storia radicata nella notte dei tempi.
E se il Papa non si è sottratto dall’accennare alcuni spunti di economia parlando di una “realtà significativa” a livello internazionale (che ha superato, con un saldo commerciale di 7,4 miliardi, automotive, abbigliamento e arredamento, nonostante il calo dei consumi pro capite), nei due incontri che sono seguiti nella giornata si sono scoperti altri aspetti. Per esempio che il vino è cura del paesaggio, grazie ai 700mila ettari coltivati, secondo l’idea che un vino buono non può nascere in un posto brutto. Lo ha detto Lamberto Frescobaldi presidente di Unione Italiana Vini, parlando dell’isola di Gorgona, dove nascono orchidee e vigneti curati dai Frescobaldi, intorno al primo carcere d’Europa su un’isola. E i detenuti che lavorano quelle vigne, una volta usciti, trovano spesso lavoro, portando la recidiva degli ex carcerati di Gorgona a zero.
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Ma c’è poi il mecenatismo dei produttori di vino, come l’esempio della Cantina Bertani che ha scoperto una pieve preziosa in località Arbizzano di Negrar dove nasce il Valpolicella Ognisanti che la sera di lunedì ha rappresentato il brindisi ultimo di Gesù. Brindisi rievocato nella cena dei 4 calici, realizzata, non a caso, dal cuoco dei 12 Apostoli di Verona, Giancarlo Perbellini, secondo l’usanza della cena pasquale ebraica.
E qui monsignor Martino Signoretto ha spiegato quel calice della benedizione di Gesù “Non per il gusto di una rievocazione storica ma per ricordare una “trasgressione”, perché con la rivelazione di San Pietro, Dio vuole che vengano aboliti i tabù alimentari”.
Ma Gesù inizia il suo ministero in Galilea con le Nozze di Cana, dove addirittura si cita la qualità di un vino, quello del miracolo servito sul finire del pasto, che non sarebbe stato qualcosa di astruso da questo mondo ma, come sostiene lo scrittore Luca Doninelli in una sua pièce (Accadde a Cana), si dev’essere trattato di un vino buono che era già su questa terra, quindi riconoscibile, carnale, vero. Una giornata di riflessioni dunque, dove mons. Pompili ha sottolineato l’aspetto conviviale del mangiare e bere, funzionale alla necessità di un’integrazione sociale, ma anche come argine allo spopolamento dei centri urbani.
E da un incontro all’altro non sono persino mancati gli accenni alla potatura della vite, citata anche da Papa Francesco, per dire che quella del vino è una civiltà carica di metafore, dove la misura, evocata anche nella Regola da san Benedetto, è la strada per la consapevolezza del limite. Lo è per il vignaiolo a cui Gesù si paragonava, che sa potare i tralci per ottenere uve migliori, lo è ciascuno di noi quando davanti a un vino può scegliere la strada dell’edonismo con tutti i suoi risvolti... o quello della scoperta di un dono.