martedì 18 febbraio 2025
Il 20 febbraio Hamas restituirà a Israele le salme di quattro persone rapite il 7 ottobre 2023. Tra loro Shiri Bibas e i suoi due figli che oggi, se fossero vivi, avrebbero quattro e due anni
Le famiglie degli ostaggi chiedono la liberazione dei loro cari

Le famiglie degli ostaggi chiedono la liberazione dei loro cari - Ansa

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Ora la mamma e i bambini rapiti nel kibbutz di Nir Oz la notte del Sette Ottobre verranno restituiti. Morti, e, pare, da oltre un anno. Hamas ha annunciato che giovedì restituirà le salme di quattro ostaggi, fra cui Shiri Bibas e Ariel, 4 anni, e Kfir, 2. Cioè: Kfir, che se fosse vivo avrebbe 2 anni. Nove mesi aveva, quella notte, quel piccolissimo ostaggio. Nemmeno camminava. Nelle ultime immagini che ci restano del 7 Ottobre, Shiri terrorizzata teneva avvolti in una coperta i bambini: ne spuntavano solo i capelli rossi.
Il padre, Yarden, intanto veniva massacrato di botte. Ma lui è tornato, vivo, dopo 484 giorni. Glielo avevano detto, i carcerieri, che i suoi erano morti. L’uomo però non si era fidato di parole sussurrate nel buio da volti nemici e mascherati. Né Israele aveva la certezza della fine dei tre. Yarden, libero pochi giorni fa, ha infatti confessato che ancora sperava. E forse ancora i nonni speravano, di rivedere Ariel e Kfir. Israele ostinatamente sperava.
Se, come pare, erano morti già a novembre 2023, per quale ragione Hamas li restituisce ora? Finché non ci sono i corpi manca la certezza: il dubbio rimane. E se invece erano creduti vivi, che immenso valore avevano quei bambini e la madre, per Gerusalemme. Speculare su questa incertezza a che serviva, se non ad alzare la posta nella trattativa?
Merce. Perfino i morti, merce di scambio. Anche se piccolissimi - due fagotti da nulla.
Messi però da parte con cura. I bambini Bibas toccavano il centro del cuore di Israele. L’incertezza sulla loro fine, il non restituirli, una tattica: come in una trattativa commerciale.
Perfino nelle più feroci battaglie dell’antichità c’era una pausa, perché ciascun esercito si riprendesse i suoi morti. Un minimo di pietà restava, anche in quelle carneficine. Immaginatevi invece il tormento di un padre: erano vivi, sono vivi forse, o forse sono morti. Un lutto cui non voleva credere, e nessuna tomba su cui piangere; e nessuna pace, in una morte durata quasi 500 giorni, come un’interminabile metastasi.
Yarden Bibas è stato liberato, ridotto a pelle e ossa. “Sei un re”, ha esultato suo padre nel rivederlo, stringendogli il capo con orgoglio. Un re che ha perso tutto: la sua donna, la sua bambina, e quello piccolo, che la sera del 6 ottobre gattonava nel kibbutz.
Kfir e Ariel non torneranno. Il freddo, la fame, la paura di quei volti neri hanno fatto in fretta, con loro. Pietosamente se li è presi la morte, forse insieme alla madre; o forse, lei non ha retto al dolore.
“Ma lo sapete quanti bambini palestinesi sono morti a Gaza sotto le bombe?” Sentiamo già questa domanda indignata salire dal web. Sì, a decine di migliaia sono morti, e forse molti di loro ancora giacciono sotto montagne di rovine. Quelle fila di piccoli sacchi bianchi per terra, li vediamo da Gaza quasi ogni mattina. I torti e le ragioni di questa guerra sono antichi e profondi e apparentemente insanabili: uno spaventevole mare di odio. Nessuno, in questa guerra, è innocente.
Tranne quei bambini a Gaza, schiacciati come chicchi di grano da una poderosa macina di mulino. Altrettanto innocenti e leggeri sono i corpi di Ariel e Kfir. Chissà se un soldato di Hamas, nel sollevarli, non ha pensato che pesavano quanto un suo fratellino.
Ma, da oltre un anno lì sotto, e non li restituivano. Inconsueto sequestro, ignaro di quel parce sepultis cui siamo umanamente abituati. Oscuro segno di un’umanità imbestialita, che calcola quanto valga lasciare nel dubbio: quanto valgano i morti, se supposti ancora vivi.
Merce, merce di scambio. Anche quei fagotti così lievi, che un brivido forse, nel prenderli fra le braccia, ha traversato perfino i carcerieri.









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