martedì 2 agosto 2016
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Ci si chiede da tempo come affrontare il terrorismo con la sua imprevedibile ed efferata violenza. È una domanda che attraversa le società europee che, specie in Francia, sono colpite violentemente e ripetutamente: i cittadini vivono la vita di ogni giorno, nei luoghi e negli spazi pubblici, sentendosi a rischio. È una domanda che si è fatta più angosciante dopo l’assassinio di padre Jacques Hamel in chiesa, al termine della Messa. Finora si è risposto senza cedere alla trappola dell’odio e della vendetta, con il rafforzamento della coesione sociale e della convivenza pacifica. È quello che i terroristi cercano di perturbare e distruggere. Vogliono colpire il vivere insieme tra gente di religione diversa, insinuando il virus dell’odio. Ci vuole, naturalmente, il rafforzamento dei sistemi di intelligence e di sicurezza. È la risposta della civiltà del diritto, qual è quella europea, alla barbarie del terrorismo omicida.Domenica, nelle chiese di Francia e d’Italia, però questa risposta si è arricchita di un gesto straordinario. Tanti musulmani che vivono in Europa, compresi i loro leader spirituali, si sono recati nelle chiese per manifestare solidarietà e vicinanza ai cristiani in questo momento di dolore e di sgomento. Il gesto è stato salutato con simpatia dai vescovi italiani e francesi. È stato accolto bene dai fedeli. Si è finalmente compreso che la risposta al grande male del jihadismo assassino passa nel mettere insieme tutte le forze morali e religiose che ripudiano il terrore e credono sia possibile vivere insieme dissociandosi da ogni forma di violenza. Tali forze ci sono, anche se talvolta nascoste. Possono fare argine al terrorismo. Sono anche tanti, tantissimi musulmani che hanno scelto di far sentire la loro presenza, la loro scelta per la pace e il rifiuto della violenza. Sono la grande maggioranza, nonostante siano una realtà molto articolata, di diverse origini nazionali, e talvolta fatichino a emergere, assediati da crescenti radicalismi. Il gesto di domenica ha mostrato che è necessario disarmare le mani, ma soprattutto i cuori. È il grande lavoro che ci aspetta: disarmare i cuori e operare in Europa scelte sempre più chiare verso la costruzione di una società plurale e solidale. Siamo destinati a vivere insieme in ogni angolo del mondo e dobbiamo farlo nel modo migliore possibile, a partire - qui - dalle diversità di cui le città europee sono caratterizzate. Le recriminazioni e i pregiudizi non cambieranno la realtà di questo pluralismo. La diversità è insita nelle cose umane e ce la portiamo dietro. Per questo è decisivo il dialogo. Anche quello semplice della vita quotidiana. Il dialogo non è una tecnica speciale né mettersi d’accordo su tutto. È invece riconoscersi assieme protagonisti dell’avventura umana. È guardarsi in faccia senza paura. Per i cristiani poi, il dialogo è sinonimo di amore. Il contrario del dialogo è la cultura del disprezzo. Tra impotenza e disprezzo non rimane più nulla di umano.Giovanni Paolo II aveva voluto, esattamente trent’anni fa, l’incontro di Assisi tra le religioni mondiali proprio per questo e in un momento in cui le religioni non contavano tanto. È lo "spirito di Assisi" che in questi anni ha fatto nascere tanti percorsi di dialogo e di incontro non solo a livello di leader religiosi, ma anche di comunità locali. Uno spirito che si fonda sulla preghiera per la pace. Una corrente profonda di dialogo, d’incontro, di lavoro per la pace vissuta in questi anni, proprio sulla scia di Assisi, non è rimasta "confinata" ai livelli apicali. Domenica è emersa in tutto il suo spessore con la forza evocativa di un mondo migliore. Lo si è visto nell’accoglienza delle comunità cattoliche, ma lo si è anche notato nel grosso numero dei musulmani che hanno visitato le chiese. Anche i media hanno colto il significato religioso e civile di questo gesto. Si tratta di continuare a lavorare su questa strada perché questo "spirito" coinvolga sempre di più e sia di stimolo per scelte coraggiose e continue. Bisogna rifiutare i destini separati o contrapposti, ma lavorare per una civiltà del convivere in cui ci siano al centro le ragioni della speranza e non le paure, le visioni del futuro e non le chiusure. Il dialogo non è un embrassons-nous semplicistico, in cui si cancellano le differenze, ma un incontro in cui diminuiscono le distanze e si percepisce il mistero dell’unità umana (è invece molto più facile insistere sulle differenze). L’augurio è che in questo tempo così duro ed esigente, così difficile e promettente, si solidifichi questo cammino comune. Con pazienza e sapienza.
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